giovedì 11 agosto 2016

Età augustea e Virgilio


Il principato augusteo



Quando parliamo di età di Augusto indichiamo quel periodo, dopo la battaglia di Azio (31 a.C.), in cui governò Augusto, più precisamente il periodo in cui finì la repubblica e venne istituito il principato. Quando venne instaurato il principato, tutti i letterati trovano un punto di riferimento nell’imperatore. Dopo la morte di Cesare, il Senato non riuscì a garantire il ritorno alla legalità istituzionale sia per le sue divisioni interne sia per l’opposizione di gruppi sociali che si riconoscevano nel “partito” cesariano. Tra i principali capi cesariani si propose subito come successore Marco Antonio, console nel 44 a.C., ma questi dovette scontrarsi con Ottaviano, pronipote di Cesare, che lo aveva adottato e designato come erede. I rapporti tra Ottaviano e Marco Antonio furono caratterizzati da fasi di conflittualità e momenti di accordo. Lo scontro iniziale si ebbe quando ci fu la guerra di Modena, in cui Ottaviano, appoggiando il Senato che aveva dichiarato Marco Antonio nemico pubblico, riuscì a sconfiggerlo ma Marco Antonio fuggì e trovò l’appoggio di Lepido. Dopo questo scontro, inaspettatamente, Ottaviano si riconciliò con Marco Antonio e insieme a Lepido formarono il secondo triumvirato per far guerra ai cesaricidi e riprendere il controllo dello Stato. I triumviri eliminarono le liste di proscrizione appropriandosi dei beni dei proscritti per poter organizzare la guerra contro i cesaricidi (battaglia di Filippi). Una volta sconfitti i cesaricidi nella battaglia di Filippi, i triumviri si divisero i compiti militari e politici:
- Ottaviano affrontò la questione della distribuzione delle terre ai veterani;
- Lepido venne immediatamente estromesso e privato di tutti i poteri;
- Marco Antonio si legò con la regina d’Egitto Cleopatra.
Ottaviano, approfittando di questo suo legame, lo fece dichiarare nemico pubblico e gli mosse guerra. Nel 31 a.C. Marco Antonio e Cleopatra furono sconfitti ad Azio e l’anno dopo morirono. Dopo la battaglia di Azio, Ottaviano riuscì a consolidare la propria posizione politica sfruttando la volontà di tutti i ceti di ottenere la pace, accumulando così titoli e poteri che gli diedero il pieno controllo dello Stato. Appena tornato a Roma, infatti, fece chiudere le porte del tempo di Giano per dichiarare la pace ottenendo così il titolo di imperator. Successivamente, ottenne i titolo di: princeps senatus (il più autorevole dei senatori), augustus (ha una particolare autorevolezza), imperium maius et infinitum (esercita il supremo potere militare), tribunicia potestas (gode a vita dei diritti dei tribuni della plebe) e pontifex maximus (può decidere su tutte le questioni religiose). Ottaviano attuò una serie di riforme che toccarono i diversi aspetti della vita pubblica: creò un esercito volontario permanente; coinvolse il ceto equestre nelle mansioni politico-amministrative; mise mano a un’imponente trasformazione urbanistica della capitale; e riorganizzò le province a livello amministrativo. In politica estera, mirò a consolidare i confini lungo il corso del Danubio e del Reno (dopo il fallimento del tentativo di conquistare la Germania transrenana). Augusto dedicò particolare attenzione alla cultura, cercando e ottenendo l’appoggio degli intellettuali perché con le loro opere sostenessero e diffondessero gli ideali del principato, consolidando il consenso al regime; inoltre furono aperte le prime biblioteche pubbliche. In questo campo Augusto si avvalse della collaborazione di Mecenate, del cui circolo fecero parte Virgilio, Orazio e Properzio. Gaio Mecenate, discendente da una nobile famiglia etrusca, condusse un esistenza lussuosa e raffinata, dedita ai piaceri, e svolse anche personalmente attività letteraria. Infatti fu fra i principali consiglieri politici e collaboratori di Ottaviano, ma non rivestì alcuna carica. Quello di Mecenate non fu tuttavia l’unico circolo di quest’epoca: Messalla Corvino e Asinio Pollione svolsero la medesima attività di promozione culturale, ma mantennero un atteggiamento più indipendente nei confronti del regime.

Poesia e prosa nell’età di Augusto

Nell’età di Augusto si assiste a una grande fioritura dei generi poetici; i poeti augustei rimangono essenzialmente fedeli alla poetica alessandrina e neoterica per l’estrema raffinatezza formale, la “dottrina” e l’originalità. Viene meno, tuttavia, la preclusione nei confronti del poema ampio e dei generi elevati come l’èpos: se è vero che la maggioranza degli autori vi rinuncia, ciò non comporta un giudizio negativo su quel genere di poesia, quanto piuttosto una scelta dettata da ragioni di inadeguatezza personale rispetto a determinate forme espressive. Anche la storiografia conosce un’ampia diffusione, ma la maggior parte di questa produzione è andata perduta. L’unica opera sufficientemente nota, accanto  a quella del grande storico Tito Livio, sono le Historiae Philippicae di Pompeo Trogo, di cui si conservano sommari dei singoli liberi e un compendio. Si tratta della prima storia universale mai comparsa nella letteratura latina, nella quale le vicende romane occupano uno spazio modesto. Un altro documento interessante, benché accostabile al commentario autobiografico piuttosto che al genere storiografico, sono le Res gestae divi Augusti, una sorta di testamento politico scritto dallo stesso Augusto con evidenti finalità propagandistiche.

Publio Virgilio Marone 



Publio Virgilio Marone nacque nel  70 a.C. ad Andes, villaggio non lontano da Mantova. Ebbe un’istruzione completa in diverse città: dapprima a Cremona e Milano, poi a Roma, dove frequentò la scuola di retorica, e a Napoli, dove si dedicò allo studio della filosofia presso l’epicureo Sirone e dove venne a contatto con il circolo di Mecenate. La prima opera pubblicata da Virgilio fu la raccolta di carmi intitolata Bucoliche, composta nel triennio 42-39 a.C. I protettori cui il poeta si rivolge sono Asinio Pollione e Alfeno Varo, mentre l’opera successiva, le Georgiche, è dedicata a Mecenate, nel cui circolo Virgilio era entrato in seguito al vivo successo delle Bucoliche. La composizione delle Georgiche impegnò il poeta per ben sette anni. Nel frattempo era iniziata la composizione dell’Eneide a cui Virgilio dedicò gli ultimi undici anni della sua vita. Tuttavia la redazione del poema non era definitiva: il poeta giudicava l’Eneide bisognosa di una profonda rielaborazione e di un’accurata rifinitura, che avrebbero comportato, a suo giudizio, altri tre anni di lavoro. Con l’intenzione appunto di attendere a tale revisione, nel 19 a.C. Virgilio partì per un viaggio in Grecia e in Asia Minore ma, ammalatosi, morì nel 19 a.C.. Prima di lasciare l’Italia, Virgilio aveva chiesto all’amico Vario di promettergli che avrebbe bruciato il poema incompiuto, se gli fosse capitato qualcosa durante il viaggio; ma Vario aveva rifiutato. Negli ultimi giorni della malattia richiese più volte, invano, gli scrinia che contenevano l’opera, con l’intenzione di distruggerla, e nel testamento affidò a Vario e ad un altro amico, Tucca, i suoi scritti, ponendo però la condizione che non pubblicassero nulla. Nonostante la volontà dell’autore, l’Eneide fu pubblicata postuma per decisione di Augusto.

Le Bucoliche

La prima opera virgiliana, le Bucoliche, è una raccolta di dieci carmi in esametri (composti dal 42 al 39 a.C, quando Roma e l’Italia erano dilaniate dalle guerre civili), ispirati agli idilli del poeta siracusano Teocrito, iniziatore della poesia bucolica (“pastorale”). L’ambiente in cui si svolgono le vicende è una campagna idealizzata (la Sicilia, la pianura padana e l’Arcadia) in cui la vita dei pastori scorre serena. Il paesaggio è descritto per lo più con i tratti convenzionali del locus amoenus: il prato, il bosco, l’ombra degli alberi, l’acqua fresca della sorgente o del ruscello. I temi sono in gran parte tratti dal modello teocriteo: la serenità della vita agreste, la descrizione di una natura di perfetta bellezza e la poesia come valore supremo. Innovativa rispetto al genere è invece la rappresentazione di un’armonia non statica, ma continuamente minacciata da elementi di disturbo: l’amore, concepito come una sorta di follia, e le conseguenze funeste della guerra (in particolare le confische per le distribuzioni di terre ai veterani).
La struttura: Ecloghe in forma mimica, cioè dialogica (le dispari), si alternano ad altre in forma narrativa (le pari), ma all’interno della II e della X sono inseriti ampi monologhi, e l’VIII introduce e riporta una gara di canto tra pastori, topos presente anche nella III e nella VII. Strettamente collegate tra loro dall’argomento sono la I e la IX ecloga, nelle quali l’attualità romana irrompe nel mondo bucolico minacciandone la pace e la serenità.
  • La I ecloga è un dialogo tra due pastori-contadini: Melibeo, costretto ad abbandonare i suoi campo, e Titiro, che invece può conservare il possesso dei suoi beni grazie all’intervento di un “giovane” (iuvenis) conosciuto nella grande città di Roma e che egli esalta come un dio in Terra. Del carme veniva proposta già dagli antichi un’interpretazione in chiave allegorica: dietro il nome di Titiro si celerebbe Virgilio stesso, minacciato ei suoi possedimenti dalle distribuzioni di terre ai veterani e reintegrato nel possesso del suo fondo da Ottaviano. Ma l’identificazione non è totale: Titiro è senex, mentre il poeta non aveva ancora trent’anni. Quindi l’allegoria non è sistematica e il poeta parla in realtà per bocca di entrambi i suoi personaggi, esprimendo per mezzo di Titiro l’ammirazione e la gratitudine per il potente benefattore, e attraverso Melibeo l’amarezza sua e dei compatrioti per le brutali e dolorose espropriazioni, funeste conseguenze delle atroci guerre civili.
  • Anche la IX ecloga è in forma di dialogo tra due pastori, Licida e Meride, entrambi poeti, come poeta egregio è il loro amico Menalca; di lui Meride riferisce al costernato Licida che non solo ha dovuto cedere il suo piccolo podere a uno straniero, ma ha rischiato addirittura, nella contesa con lui, di perder la vita. In questo caso le allusioni alla realtà storica sono esplicite.
  • Accomunate dal tema amoroso, che viene decisamente in primo piano, sono le ecloghe II e X. La II è un appassionato canto d’amore del pastore Coridone per Alessi, un giovinetto che non contraccambia la sua passione. Troviamo per la prima volta in questo carme il tema tipicamente virgiliano dell’amore come follia, forza irrazionale e incontrollabile, che travolge l’uomo irresistibilmente e dolorosamente. Un altro amore infelice è al centro della X ecloga, l’ultima della raccolta anche cronologicamente, dedicata con affetto all’amico Cornelio Gallo: questi è rappresentato in preda alla disperazione per le infedeltà dell’amante Licoride, da cui cantata nelle sue elegie e viene trasferito da Virgilio nel mondo bucolico.
  • Tre ecloghe (III, VII e VIII) presentano il topos della gara poetica tra pastori. La III contiene un canto “amebeo” (cioè alterno), in cui ognuno dei due pastori recita due versi per volta, introducendo spunti tematici attinenti all’amore, alla poesia, a momenti di vita pastorale. Nella VII, analogamente, i contendenti si esibiscono in strofe alterne di quattro versi ciascuna. Nell’VIII, invece, i due pastori che gareggiano cantano ciascuno una volta sola, inserendo nei loro versi due ritornelli ripetuti più volte. Argomento di quest’ultimo componimento è, di nuovo, l’infelicità amorosa.
  • Il topos del canto amebeo si ritrova anche nell’ecloga V, che ha per tema la morte e la trasfigurazione di Dafni.
  • In un ambito completamente diverso ci porta la IV ecloga, all’inizio della quale il poeta esprime l’intenzione di innalzare il tono del suo canto, in modo da renderlo degno del console Pollione. In effetti, Virgilio profetizza solennemente la prossima fine di un ciclo cosmico e l’inizio del successivo, che coinciderà con il ritorno sulla Terra della mitica età dell’oro. Tale rinnovamento è collegato con l’imminente nascita di una bambino (puer) la cui infanzia, adolescenza ed età adulta vedranno il progressivo realizzarsi del mondo nuovo. L’identificazione del puer è uno dei problemi più dibattuti dalla critica virgiliana antica e moderna. Partendo dall’unico dato storico contenuto nell’ecloga II, il consolato di Asini Pollione, molti hanno indicato nel bambino un figlio dello stesso Pollione, oppure un figlio atteso da Ottaviano, o ancora il frutto che si sperava nascesse dal matrimonio di Antonio con Ottavia. Altri hanno voluto vedere nel puer lo stesso Ottaviano; altri ancora non un bambino storicamente determinato, ma semplicemente il simbolo della generazione aurea di cui si attende l’arrivo. Il problema è insolubile, anche perché l’oscurità è voluta dal poeta; tuttavia questo non ci impedisce di cogliere il significato generale del componimento: Virgilio vi esprime l’attesa e la vibrante speranza della cessazione delle lotte civili e caricano di risonanze così vaste, e l’esigenza e l’ansia contingente e potè essere interpretato in età tardo-antica e medievale come il preannuncio della nascita di Gesù Cristo, contribuendo in misura determinante al formarsi dell’immagine di un Virgilio mago e profeta.
  • Infine la VI ecloga svolge in modo originalissimo il tema del valore e dell’importanza della poesia, e non è certo un caso che essa sia collocata nella parte centrale della raccolta. Due pastorelli costringono scherzosamente Sileno a intonare un canto dia temi per lo più mitici, al centro del quale è inserito un omaggio a Cornelio Gallo, con la descrizione della sua consacrazione poetica da parte delle Muse. L’ecloga si pone dunque in modo chiaro sulla linea del gusto ellenistico e neoterico e affida a Sileno l’esaltazione della poesia e del suo potere magico e fascinatore. 
I temi Due temi fondamentali sostengono la trama delle Bucoliche: la descrizione di una natura di limpida e serena bellezza e la centralità  della poesia, intesa come piacere. Un brano che mostra bene il punto di partenza dell'arte virgiliana dal gusto alessandrino è l'invito che Coridone rivolge al puer amato a condividere con lui la vita dei campi. Quanto al tema del valore della poesia, esso è al centro dell'ecloga VI e ricorre più volte altrove. Accanto a questi temi, troviamo altri due elementi che contrastano con i primi: l'infelicità amorosa e gli amari riflessi della realtà storica. L'amore è presentato come una forma di pazzia perché priva chi ama del suo equilibrio interiore e lo condanna a tormentosa inquietudine. Le convulsioni della politica e della guerra sono invece colte nelle conseguenze perturbatrici che rischiano di sconvolgere il mondo idilliaco dei pastori nelle ecloghe I e IX.

Le Georgiche

La seconda opera virgiliana, le Georgiche, è un poema epico-didascalico in quattro libri dedicato a Mecenate, in esametri, dedicato all’agricoltura, all’allevamento del bestiame e all’apicoltura. Per evitare la monotonia, il poeta inserisce frequenti excursus, che sono tra le parti più significative dell’opera. Il filo conduttore è l’esaltazione della vita agreste e del lavoro, concepito positivamente come dono divino e fattore di progresso per l’umanità. A esso si affiancano altri temi come la celebrazione di Ottaviano, la riflessione sulla forza distruttiva dell’amore, sulla sofferenza e sulla morte, il motivo religioso. Le Georgiche trasmettono dunque un messaggio ricco d’implicazioni morali, auspicando il recupero dei più autentici valori della tradizione romana (la laboriosità, la frugalità, la religiosità, il rispetto della famiglia e della patria). Gli argomenti dei quattro libri sono sintetizzati dal poeta nei versi introduttivi. Il I libro è infatti dedicato alla coltivazione dei cereali, alle stagioni e ai segni del cielo di cui l’agricoltore deve tener conto nella sua attività; il II tratta della coltura degli alberi e in particolare della vite, il III dell’allevamento del bestiame, il IV dell’apicoltura. Nel proemio del III libro, Virgilio afferma che, per il momento, proseguirà con la poesia più modesta, di argomento agreste. È evidente che non si tratta assolutamente né di un manuale per insegnare ai contadini come si coltiva la terra né di un’opera di propaganda, scritta su ordinazione a sostegno della politica agraria del regime; del resto, quando Virgilio iniziò la composizione delle Georgiche, le guerre civili erano ben lontane dalla conclusione e il regime augusteo non si era ancora instaurato. Le Georgiche sono un’opera letteraria che ha i suoi modelli principali in Esiodo, in Lucrezio e in poeti greci di età ellenistica. Virgilio vuole trasmettere un messaggio ricco dei più autentici valori della tradizione romana, legati alla civiltà contadina e alla piccola proprietà italica, con i suoi ideali di pacifica laboriosità, frugalità, religiosità, rispetto e culto della famiglia e della patria. A quei valori Virgilio aderiva sinceramente sul piano personale; ma essi erano anche al centro del programma di restaurazione che Ottaviano si sarebbe proposto di realizzare dopo Azio.
La struttura Per quanto riguarda i proemi e i finali, il poeta ha ricercato effetti di contrasto nell’alternanza tra proemi di diversa ampiezza e tra finali che delineano quadri sereni o foschi.
  • Poco dopo l'inizio del I libro, il poeta propone una spiegazione di tipo provvidenzialistico, che gli studiosi chiamano "teodicea del lavoro".  Giove, dunque, volle che l'umanità si risvegliasse dal torpore in cui viveva nei tempi primitivi, quando la terra donava spontaneamente i suoi frutti, e creò ostacoli e difficoltà perchè gli uomini, affinando il loro ingegno nella lotta quotidiana contro una natura divenuta ostile, progredissero nel cammino della civiltà, inventando e perfezionando, mediante l'esperienza, le tecniche e le arti. La fine dell'età dell'oro e la dura necessità del lavoro non sono quindi per Virgilio la punizione divina per una colpa umana, ma un mutamento voluto da una divinità benefica per il progresso dell'umanità. Un'altra importante digressione funge da chiusa del libro I: il poeta introduce una descrizione grandiosa e terribile dei foschi presagi che accompagnarono l'uccisione di Cesare e invoca la protezione divina sul giovane Cesare Ottaviano, unica speranza di salvezza per una generazione sconvolta dagli orrori della guerra civile.
  • Il libro II contiene anch'esso notevoli digressioni di cui le principali sono due elogi: rispettivamente dell'Italia e della vita agreste. Le laudes Italiae hanno origine da una vasta panoramica di luoghi stranieri ed esotici, specialmente orientali. L'ampio finale del libro  sviluppa l'elogio della vita dei campi idealizzata come luogo di pace, di giustizia e di ogni virtù, e contrapposta alla città, luogo della corruzione morale e delle discordie civili, causate dall'ambizione di potere e dall'avidità di ricchezze.
  • In contrasto con la gioiosa serenità dominante nel II libro, il III, dedicato all'allevamento del bestiame, introduce, fin dalla parte iniziale, dopo il proemio, una nota grave e dolente. Con la sua vivissima sensibilità, Virgilio constata malinconicamente l’incombere inesorabile, sugli uomini e sugli altri animali del declino fisico e della morte. Più avanti si sviluppa una digressione sull'amore, considerato dal poeta una furia devastante che sconvolge e travolge uomini e animali, provocando rovina e morte. Il tema della morte si dispiega nell'ampio finale occupato dalla descrizione di una terribile pestilenza che si diffuse tra gli animali nel Nòrico. Virgilio riprende in questa parte e riecheggia in molti particolari la rappresentazione lucreziana della peste di Atene che chiude il De rerum natura; ma mentre il poeta-filosofo si soffermava sulle cause e sui sintomi della malattia con l'interesse proprio dello scienziato, prevalgono in Virgilio la partecipazione dolorosa e la compassione per le vittime di tanta sofferenza.
  • Il IV libro, dedicato all'apicoltura, comunica fin dall'inizio un senso di ariosa e chiara serenità. La società delle api è descritta dal poeta come una comunità ideale, perfettamente organizzata e ordinata. Le api inoltre, secondo il poeta, non sono soggette, per la riproduzione, alla schiavitù del sesso: ancora una volta l'eros è presentato come una realtà negativa, a cui soltanto le api sfuggono per singolare beneficio divino. La loro specie infatti viene rigenerata mediante un prodigio, la cosiddetta bugonia', cioè la nascita miracolosa di sciami di api dalla carcassa putrefatta di un vitello ucciso.  Per spiegare l'origine di questo portento, Virgilio inserisce un lungo racconto mitico che costituisce il finale del libro e del poema: la storia del pastore Aristeo che viene a sapere di essere stato punito per aver provocato la morte della ninfa Euridice, morsa da un serpente mentre cercava di sfuggirgli. Euridice era sposa del mitico poeta Orfeo di cui a questo punto Virgilio narra l'inutile discesa nell’Ade per riportare in vita l'amatissima sposa, che invece perde irrimediabilmente. Un "sigillo" di carattere autobiografico conclude le Georgiche: Virgilio dichiara la paternità dell’opera, ne indica il periodo di composizione facendo riferimento alla contemporanea  campagna in Oriente di Ottaviano e ricorda con affetto la città di Napoli.
L'Eneide

L’Eneide è un poema epico in dodici libri, in esametri, che ci è giunto, a detta di Virgilio, incompleto. Questo poema ha come protagonista Enea, mitico eroe troiano, progenitore di Romolo e capostipite della gens Iulia, cui apparteneva Ottaviano Augusto. Virgilio si allontana dunque dalla tradizione latina dell’epica storica d’argomento contemporaneo (che aveva avuto in Nevio ed Ennio le sue principali espressioni) per concentrarsi sul mito, una scelta che gli permette di mettere in secondo piano il motivo celebrativo ed encomiastico.
Il modello principale dell’Eneide è Omero: l’Odissea per i primi sei libri, incentrati sul travagliato viaggio di Enea da Troia al Lazio, e l’Iliade per la seconda esade, che racconta la guerra tra i Troiani e i Latini. Virgilio introduce tuttavia delle novità rispetto al modello omerico, come la vicenda di Didone, che riprende leggende estranee all’epos omerico. Originale è nell’affermazione individualistica della propria personalità, tipica degli eroi omerici, ma nella capacità di sottomettersi alla volontà degli dei (la pietas), sacrificando le esigenze personali. Diverso infine l’atteggiamento del poeta rispetto alla materia narrata: Virgilio abbandona spesso l’oggettività, uno dei tratti distintivi dell’epica omerica, per esprimere la propria partecipazione emotiva alle vicende e alle sofferenze dei suoi personaggi. L’innovazione più evidente che possiamo notare riguarda la catabasi del VI libro, ispirato all’XI libro dell’Odissea: Odisseo infatti non entra nel regno dei morti, ma rimane sulla sogli e lì gli appaiono le anime dei defunti; Enea invece compie un vero e proprio viaggio nell’oltretomba.
Il protagonista: Per la figura di Enea, Virgilio ebbe come modelli il Bellum Poenicum di Nevio, le Origines di Catone, le opere di Varrone, ma soprattutto Odisseo e Achille di Omero. Enea è il rappresentate delle virtù romane originarie, cioè di quei valori sui cui poggiava la grandezza di Roma e che Augusto si proponeva di restaurare.

Caratteristiche di Virgilio

Sono tipici di Virgilio la sobrietà espressiva e la brevitas (d’influsso alessandrino e neoterico), che dà luogo a una forte pregnanza semantica. Lo stile è fortemente condizionato – nel lessico, nella sintassi e nelle figure retoriche – dal genere letterario e tende a innalzarsi nel passaggio della poesia bucolica a quella didascalica e poi epica.

L'Appendix Vergiliana

L’Appendix Vergiliana è una silloge di componimenti poetici attribuiti a Virgilio, raccolta in età umanistica e che comprende opere di vario genere, la cui autenticità è contestata dalla maggior parte degli studiosi.

Virgilio nell'età moderna

La poesia di Virgilio fu apprezzata ininterrottamente dall’antichità fino all’età  moderna sia per le sue qualità formali sia per il messaggio universale di cui è portatrice. Il cristianesimo, in particolare, assimilò la figura del poeta facendone una sorta di profeta dell’avvento del Messia e di precursore della sua rivelazione, e il classicismo rinascimentale trovò nelle sue opere una fonte privilegiata d’ispirazione. Dopo la svalutazione del Romanticismo e di alcune correnti del Decadentismo europeo, Virgilio è tornato al centro dell’interesse della critica e della cultura novecentesca.


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