giovedì 11 agosto 2016

Livio e Orazio


LIVIO


Tito Livio nacque nel 59 a.C. a Padova da una famiglia economicamente agiata e per questa ragione potè dedicare l’intera vita all’attività letteraria senza dover ricercare il sostegno di protettori. Asinio Pollione rilevava in Livio una certa Patavinitas, cioè una peculiarità padovana. Nel 30 o 29 a.C. si recò a Roma per svolgere ricerche preliminari alla composizione della sua monumentale opera storica Ab urbe condita libri, pubblicata a partire dal 27 a.C. circa. L’esaltazione degli ideali repubblicani che caratterizza il testo non impedì a Livio di ottenere l’amicizia di Augusto: tale impostazione ideologica, infatti, non contrastava con l’immagine di restauratore dei valori della res pubblica che il principe voleva dare di sé. Non sappiamo d’altra parte in che modo Livio valutasse il principato augusteo, poiché i libri più recenti dell’opera non ci sono pervenuti. Tuttavia il pessimismo con cui nella prefazione accenna all’età contemporanea permette di dubitare che egli lo ritenesse la felice o necessaria soluzione della crisi della repubblica. Lo storico morì a Padova nel 17 a.C.

La struttura e i contenuti degli Ab urbe condita libri

Senza riallacciarsi ad alcun predecessore, Livio decise di narrare tutta la storia di Roma a partire dalle origini, come dice il titolo Ab urbe condita libri (“Dalla fondazione della città”), rifacendosi al modello annalistico raccontando i fatti in modo cronologico.  Egli lavorò a quest’opera per tutta la vita a sezioni staccate. Infatti all’interno dell’opera si possono distinguere vere e proprie sezioni, corrispondenti alle diverse fasi di pubblicazione e dotate di una loro autonomia artistica e tematica. Dell’opera, che comprendeva 142 libri, ci sono per venturi solo i libri 1-10 e 21-45, per un totale di 35 libri. Di quasi tutti possiamo invece leggere i compendi, cioè riassunti brevi per capire la trama dell’intera opera che presero il nome di Periochae. Le sezioni dell’opera dovrebbero essere sette:
·         Il libro: che contiene la prefazione generale e descrive il periodo della monarchia (dalla cacciata dei Tarquini fino all’istituzione della res pubblicae). È molto ricco di materiale leggendario ed è caratterizzato da un interesse antiquario quasi assente nel resto dell’opera. I sette re di Roma però non sono i veri protagonisti del libro: al centro è Roma, con le sue conquiste territoriali e lo Stato. 
·         Dal libro al : che narrano le guerre contro gli Etruschi, i Volsci e gli Equi, le invasioni dei Galli e l’incendio di Roma. Il 2°, come il 10°, è un libro importante perché è proprio in questo libro che vengono messi in evidenza quei valori del mos maiorum cui Livio attribuisce la grandezza di Roma.
·         Dal libro al 10°: che contengono un'altra prefazione e narrano l’espansione di Roma in Italia.
·         Dall’11° libro al 20°: che sono libri perduti che dovrebbero narrare la guerra contro Pirro e la prima guerra punica;
·         Dal 21° libro al 30°: che contengono un’altra prefazione e narrano la seconda guerra punica. In questi libri i fatti sono esposti secondo il consueto schema annalistico, che tuttavia non impedisce a Livio di dividerli in due parti: i primi 5 sono dedicati alla parte del conflitto negativo per i Romani, mentre gli altri narrano la lenta ma sicura ripresa romana fino alla vittoria finale di Scipione. La separazione fra le due parti non si nota; l’unica differenza è che dal libro 31° in poi emerge la figura di Scipione così come per i libri precedenti era emersa la figura di Annibale, di cui vengono descritte le virtù e i vizi. Da questa descrizione si nota subito come Scipione sia l’opposto di Annibale e come Livio attribuisca a Scipione tutte quelle virtù che non caratterizzano invece Annibale. 
·         Dal 31° libro al 45°: che contengono un’altra prefazione e narrano le vicende interne e le guerre in Italia, in Spagna e in Oriente.
·         Dal 46° libro al 142°: che sono libri perduti che dovrebbero narrare le vicende di politica interna ed estera.  

Le fonti dell’opera e il metodo di Livio

Il metodo storiografico di Livio non può definirsi scientifico. Egli fonda infatti la sua indagine sulle opere degli storici precedenti: seleziona di volta in volta una fonte principale da seguire, limitandosi a menzionare le versioni contrastanti, senza però cercare di mediare tra di esse.  Le principali sembrano essere gli annalisti romani per la prima decade, la monografia di Celio Antipatro e lo storico greco Polibio per la terza, e gli Origines di Catone per la quarta e la quinta. Rispetto alle fonti, tuttavia, Livio dimostra spesso un atteggiamento critico, non esitando a prendere le distanze dai dati che gli appaiono infondati. Si può affermare in generale che l’apporto originale di Livio non consiste tanto nella ricostruzione storica, non esente da errori e contraddizioni, quanto piuttosto nell’elaborazione letteraria della materia. L’utilizzo di diverse fonti, l’enorme estensione cronologica dell’opera e la sua stessa pubblicazione a sezioni staccate, però, comportano inevitabilmente degli errori e delle contraddizioni.

Le finalità e i caratteri ideologici dell’opera

Lo scopo dell’opera è quello etico-didascalico dichiarato nella prefazione generale. Livio si propone di contribuire all’edificazione morale dei lettori mostrando loro l’esempio degli antichi Romani, che con le loro virtù (coincidenti con il mos maiorum) hanno reso grande lo Stato. All’idealizzazione del passato si accompagna un’impostazione patriottica e celebrativa della romanità che determina una consapevole distorsione dei fatti. Infatti riprende tutti quei valori del mos maiorum come: la pietas (cioè l’osservazione scrupolosa dei riti), la fides (cioè il rispetto della parola data), l’amore e la difesa della libertas e della concordia; la iustitia nei rapporti con gli alleati e i popoli stranieri; la disciplina (cioè l’obbedienza dei soldati verso i propri superiori); la prudentia (cioè il non lasciare mai nulla al caso); la frugalitas (cioè l’allontanamento dalle ricchezze); la pudicitia (per le donne); e la gravitas (cioè un atteggiamento esteriore dignitoso, serio e decoroso). 

Le qualità letterarie e lo stile

Le qualità letterarie di Livio fanno sì che la trattazione storica risulti varia e avvincente, nonostante l’impostazione annalistica: alle parti descrittive ed espositive si alternano episodi narrativi in sé conchiusi, ricchi di drammaticità e pathos; il flusso narrativo  variato dall’inserzione di discorsi che caratterizzano i personaggi e illustrano le situazioni. Lo stile liviano è estremamente vario: il periodare è talvolta ampio e ricco di subordinate, alla maniera di Cicerone, talvolta breve e conciso. Oggettive differenze stilistiche e lessicali, legate alle fonti impiegate o ad una precisa celta letteraria dell’autore, sono state osservate tra i primi libri, caratterizzati da un colorito arcaico e poetico, e quelli più recenti, in cui tale fenomeno tende a scomparire.

Livio nel tempo


L’opera di Livio è divenuta, fin dal I secolo a.C., la fonte privilegiata per la conoscenza della storia di Roma ed è stata apprezzata sia per le sue qualità artistiche sia per la fama di attendibilità della ricostruzione storica, messa in discussione solo a partire dall’Ottocento. La fortuna dell’opera, unita alla sua vasta mole, ha tuttavia determinato la perdita di gran parte dei libri, sostituiti nell’uso scolastico e nella consultazione da riassunti e compendi. 

ORAZIO


Orazio nacque a Venosa nel 65 a.C. da una famiglia di umili origini, ma di condizione economica non disagiata; potè infatti seguire un regolare corso di studi a Roma e ad Atene (dove frequentò le scuole di filosofia). Dalla tranquillità degli studi lo distolse bruscamente la guerra civile che oppose i cesaricidi Bruto e Cassio ad Antonio ed Ottaviano: Orazio si arruolò infatti nell’esercito di Bruto alla battaglia di Filippi (44 a.C.). La svolta decisiva nella vita di Orazio avvenne nel 38 a.C., quando Virgilio e Vario lo presentarono a Mecenate che lo ammise nel suo circolo. Anche Orazio, come Virgilio, diede il suo contributo alla propaganda augusta componendo carmi celebrativi e politicamente impegnati, tra cui spiccano le cosiddette “odi romane”. Nel 17 a.C., fu incaricato da Augusto di scrivere un Carmen saeculare, cioè un inno agli dei protettori di Roma. 
·         Satire (41-30 a.C.): sono componimenti di tipo soggettivo e di intento moralistico, in cui il poeta rappresenta in modo ironico difetti e comportamenti propri e altrui.
·         Epodi (41-30 a.C.): seguono diversi filoni tematici: invettiva, magia, poesia civile, eros, motivi simposiaci e gnomici.
·         Odi (30-23+13 a.C.): affrontano molti argomenti diversi (religiosi, erotici, conviviali, gnomici e civili).
·         Epistole (23-13 a.C.): si tratta di componimenti d’occasione e di riflessioni personali su temi morali.
Negli ultimi anni la produzione letteraria di Orazio andò progressivamente diminuendo fino a cessare del tutto. Egli morì l’8 a.C., a due mesi di distanza dalla scomparsa di Mecenate, accanto alla cui tomba fu sepolto.

Le Satire

Il fatto che il genere satirico non avesse un diretto corrispondente nella letteratura greca indusse Orazio ad una riflessione critica e ad un’elaborazione concettuale che gli permisero di precisare e d’illustrare i caratteri contenutistici e formali di questo genere tipicamente romano. A tale scopo il poeta dedicò tre componimenti: le satire quarta e decima del I libro e la prima del libro II. Orazio presenta Lucilio come l’iniziatore del genere nella letteratura latina, ma cerca di nobilitare la satira ricollegandola alla commedia greca e precisamente alla fase più antica di essa, di cui cita i tre più celebri rappresentanti: Eupoli, Cratino e Aristofane. Orazio rivela l’importante differenza formale tra i due generi, costituito dall’impiego di metri diversi, ma punta su un aspetto comune alla commedia antica e alla satira luciliana. Un altro tratto distintivo della satira viene indicato da Orazio nello spirito; esso si traduce nella capacità di affrontare temi moralmente impegnativi in modo arguto e divertente. Le satire oraziane sono ampiamente influenzate dalla diatriba, caratterizzata dall’alternanza del serio e del comico. Per quanto riguarda i rapporti con gli altri generi letterari, Orazio, a differenza di Lucilio, riconosce espressamente la superiorità dei generi sublimi; anzi dice addirittura di non poter aspirare al titolo di “poeta”. Sotto l’aspetto formale, tuttavia, Orazio si allontana da Lucilio, applicando il principio del labor limae, ossia della necessità di un’accurata elaborazione stilistica (propria della componente alessandrina, ben viva nei poeti augustei). Inoltre Orazio afferma che la produzione è riservata a pochi intimi e riprende l’idea di una poesia rivolta a un pubblico ristretto, indicando esplicitamente i suoi destinatari in Mecenate, Virgilio, Vario, Asinio Pollione e Messalla Corvino.
I caratteri e i contenuti delle Satire oraziane
L’impostazione soggettiva in Orazio si presenta piuttosto come disponibilità a rivelare aspetti significativi dell’io interiore per sviluppare da essi considerazioni di portata più ampia e di validità generale. Lo spirito è altamente apprezzato da Orazio come momento insostituibile sia della vena moraleggiante sia di quella soggettiva e tende qualche volta ad affermarsi in modo autonomo in alcuni componimenti che si propongono di offrire una rappresentazione arguta e divertente della realtà. Tale varietà di contenuti si esprime in due forme diverse: la satira “narrativa” e la satira “discorsiva”. La prima prende le mosse da un fatto o da un aneddoto che viene raccontato in modo diffuso e brillante, mirando soprattutto a intrattenere il lettore. La seconda non è incentrata su un fatto o un episodio, ma svolge una serie di argomentazioni e di riflessioni. Sia le satire narrative sia quelle discorsive possono avere andamento monologico o dialogico; il dialogo a sua volta può essere riferito o rappresentato direttamente con scambio di battute tra il poeta e un altro personaggio, o tra due personaggi.  
Il messaggio e lo stile
Le satire oraziane presuppongono un sostrato di concetti morali come costante termine di riferimento. Il poeta stesso, nelle Epistole, afferma la sua adesione all’epicureismo. Tuttavia le idee ispiratrici delle Satire sono concetti generali e diffusi. Si tratta dei principi designati dagli antichi con i termini greci di metriotes e di autarkeia. La metriotes (senso della misura) sanciva che la virtù consiste nel giusto mezzo, nell’equilibrio tra gli estremi opposti. Essa è nel detto est modus in rebus (“c’è una misura in ogni cosa”). L’autarkeia (“autosufficienza”) consiste nella limitazione dei desideri per evitare i condizionamenti esterni, che impediscono di raggiungere la piena libertà interiore. La metriotes e l’autarkeia sono dunque i due capisaldi da cui si sviluppa la riflessione della satira oraziana. Queste convinzioni sono affidate al personaggio del poeta satirico, in cui l’autore riflette aspetti della sua personalità. Nel II libro, tuttavia, questa figura tende a collocarsi sullo sfondo, divenendo il relatore o l’ascoltatore di opinioni altrui. Orazio accentua dunque la sua sorridente autoironia rifiutando la parte del protagonista e prendendo in giro quell’atteggiamento da persona saggia ed esperta. Viene così creato uno stile medio che s’ispira a una conversazione fine ed elegante, nutrita di cultura senza affettazione e di spirito non grossolano. Questa apparente semplicità è in realtà il frutto di un’arte sorvegliata e consumata, in cui vige il principio della brevitas: mediante un severo autocontrollo della forma, Orazio tende a eliminare quanto è superfluo e ridondante e a ridurre e concentrare i mezzi espressivi.

Gli Epodi

L’esperienza giambica di Orazio è parallela alla produzione satirica. Gli Epodi (17 componimenti) costituiscono una tendenza autonoma della poesia oraziana. In questo caso egli non ha bisogna, come per la satira, di delineare una sua poetica, perché può riallacciarsi ad autorevoli precedenti nella letteratura greca. Nell’epodo 6° Orazio allude infatti ad Archiloco e ad Ipponatte come ai propri modelli e dichiarerà con orgoglio di essere stato il primo a introdurre nel Lazio i giambi di Archiloco. Aspetto essenziale di questa autonoma ripresa è il metro. Orazio impiega per primo a Roma l’epodo, un sistema metrico in cui ad un primo verso più lungo se ne aggiunge uno più breve. Appunto per la presenza di tali metri la raccolta fu indicata dai grammatici antichi con il titolo di Epodi. Proprio la varietà è l’aspetto più appariscente dell’opera oraziana: gli Epodi ci offrono un panorama complesso e multiforme, che va dalla veemenza delle invettive all’espressionismo delle poesie d’argomento magico e sessuale, dalla foga e dal fervore dei carmi politici alla pacatezza di quelli gnomici e alla grazia lieve di quelli erotici. 
I contenuti e lo stile
Nella raccolta si possono distingue alcuni filoni:
·         Dell’invettiva che si esprime negli epodi 4, 6 e 10. Tra questi, soltanto il decimo è diretto contro una persona determinata, Mevio, cui viene augurato di perire in un naufragio. Una variante scherzosa del modulo dell’invettiva si trova nell’epodo 3: una giocosa maledizione contro l’aglio, propinato al poeta da Mecenate. Ai modi dell’invettiva si possono ricondurre anche gli epodi 8 e 12, rivolti contro una vecchia libidinosa che concupisce il poeta e sollecita da lui prestazioni sessuali. In questo caso la descrizione impietosa della decadenza fisica della donna rivela una tendenza espressionistica che è tra gli aspetti più rilevanti della produzione giambica oraziana.
·         Della magia in cui il tema viene trattato con un accentuato realismo.
·         Di poesia civile. Gli epodi 7 e 16 si riferiscono alla medesima situazione e trattano temi simili: la confusione e lo scompiglio successivi alla battaglia di Filippo. Nel settimo l’autore rimprovera aspramente i concittadini che combattono tra loro e individua la causa remota delle guerre civili nell’antico fratricidio commesso da Romolo. Nell’epodo 16 invita i Romani a seguirlo in un’utopistica fuga verso le isole dei beati, dove permane la condizione dell’età dell’oro. In entrambi questi componimenti Orazio assume il ruolo di vates, del poeta ispirato dalla divinità, amplificando dall’alto di questa posizione la sua angoscia e la sua disperazione per la situazione politica. Ai preparativi per la battaglia di Azio, riportano gli epodi 1 e 9. Nel primo il poeta assicura amicizia e lealtà al patrono e ad Ottaviano; nel nono esprime “l’affanno e la paura per la causa di Cesare, schernisce gli avversari di Ottaviano e si prepara a brindare alla sua vittoria.
·         Filone erotico. L’epodo 14 svolge il motivo dell’amore che domina completamente il poeta impedendogli di comporre versi. Lo stesso motivo apre l’epodo 11, che sviluppa altri spunti topici della poesia erotica. Nell’epodo 15 il poeta si rivolge invece a una donna infedele con un tono risentito ma meno violento rispetto ad altri epodi; nei carmi amorosi domina infatti un pathos leggero e sentimentale, che è agli antipodi dell’aggressività espressionistica rilevata negli epodi contro la vecchi a libidinosa.
·         Di elogio della vita dei campi nel 2 componimento e motivi simposiaci e gnomici nel 13 epodo. L’epodo 2 si fonda sul procedimento dell’aprosdoketon (“imprevisto”): esso ci offre uno splendido elogio della vita dei campi, ma gli ultimi versi ci fanno sapere, con un rovesciamento sarcastico, che a pronunciarlo è un usuraio incapace di rinunciare ai suoi impegni cittadini. Motivi simposiaci e gnomici sono invece presenti nell’epodo 13: il poeta, durante l’infuriare di una tempesta, invita gli amici al banchetto; per poter alleggerire il cuore dai sinistri affanni e porta l’esempio mitico di Chirone, che così insegnava ad Achille a sopportare la sua sorte gloriosa ma triste.

Le Odi                                                                                                                                                                        
Un altro momento fondamentale dell’esperienza poetica di Orazio è costituito dalla sua produzione lirica, compresa nei quattro libri delle Odi. Le Odi non si possono propriamente considerate poesia lirica nel senso moderno. Esse si pongono programmaticamente all’interno di una tradizione letteraria di ascendenza greca  e ne accettano le norme e le convenzioni. Nel componimento che apre la raccolta, Orazio, rivolgendosi a Mecenate, afferma che la sua scelta di vita consiste nell’essere lyricus vates e pone la sua decisione sotto gli auspici della musa Polimnia. Con questo egli manifesta la sua intenzione di coltivare la poesia “lirica”e di prendere come punto di riferimento la produzione scritta nel dialetto dell’isole di Lesbo e in primo luogo la poesia di Alceo. Oltre ad Alceo, anche il celebre poeta greco Pindaro esercita una notevole influenza sulle Odi. A lui tuttavia Orazio guarda come a un ideale irraggiungibile. Alla fine della sua carriera, Orazio dichiara che chi tenta di emulare i voli della poesia pindarica è destinato a precipitare miseramente come Icaro.
Si contrappongono qui due concezioni divergenti: quella di una poesia ispirata, prodotta da eccezionali doti naturale, e quella di una poesia frutto di lavoro e di cura infinita. Orazio si dedica a un’arte sottile; questo secondo tipo di poesia rinvia al principio del labor limae, dell’accanita opera di rifinitura, che era stato proclamato dagli alessandrini e fatto proprio dai neoteroi. Tra le due alternative Orazio sceglie dichiaratamente la seconda, mostrando di considerare la sublimità di Pindaro soltanto come un’aspirazione o una tentazione a cui si può indulgere eccezionalmente. Constatiamo dunque il persistere di quell’alessandrismo che aveva segnato in maniera profonda la poesia delle Satire. Un notevole mutamento rispetto alle Satire si può invece riscontrare nell’atteggiamento che l’autore assume verso la poesia elevata: egli rivendica per la lirica un posto adeguato già ben riconosciuto e affermato valore. Dalla strategia dell’autosvalutazione passa così alla solenne dichiarazione della grandezza e dell’eternità della sua opera.
La coscienza del proprio valore poetico si manifesta nelle Odi anche nella  scelta di definire se stesso più volte come vates: vocabolo che possiede una connotazione sacrale che presuppone un’investitura divina e il poeta infatti si atteggia a seguace e protetto dagli dei. Tale rapporto privilegiato con il divino si manifesta in episodi della vita quotidiana. La poetica delle Odi risulta dunque dalla sovrapposizione di due concezioni distinte: da una parte, il concetto della poesia come frutto di una tecnica perfetta e del poeta come supremo artigiano; dall’altra, l’idea della poesia come prodotto di geniale ispirazione e del poeta come vate.
I caratteri I modelli principali delle Odi sono i poeti di Lesbo, Alceo e Saffo: essi sono il punto di riferimento più importante anche per la metrica; è significativo, infatti, che persino i carmi di tono più alto e pindareggiante siano scritti in strofe alcaiche o saffiche. Inoltre è notevole e documentabile l’influsso sulle Odi oraziane di testi ellenistici.  Orazio conferisce quasi sempre ai suoi componimenti un’impostazione “allocutiva”. Raramente, infatti, i suoi carmi si presentano come monologhi interiore, ma sono di solito rivolti a un destinatario, che può essere un personaggio reale oppure una figura fittizia, che può avere maggiore o minore risalto, ma che comunque favorisce e orienta lo svolgimento del discorso poetico.
Tale impianto discorsivo è collegato a una situazione particolare, spesso topica, che inserisce il carme in determinati schemi tradizionali. Questo debito verso la tradizione non significa però che le Odi si presentino come una sorta di montaggio o di collage di materiali precedentemente elaborati da altri poeti; esso indica invece la volontà di aderire a una determinata maniera poetica. Gli spunti infatti vengono rivissuti e rinnovati dall’interno, mentre gli schemi sono variati e combinati tra loro, a seconda delle esigenze della poesia. Orazio scrive per un pubblico dotto, che conosce perfettamente i testi che egli imita, riprende, cita: in quest’arte spiccatamente “letteraria” e riflessa, il nuovo presuppone sempre, la tradizione. Adottando dunque le tecniche dell’arte allusiva, il poeta inserisce frequentemente nei suoi carmi spunti tratti da Alceo, da Pindaro, da Anacreonte, da Saffo e da altri lirici greci, rielaborandoli in modo autonomo. Spesso troviamo all’inizio di un componimento una “citazione”, che viene poi sviluppata liberamente e originalmente. 
I contenuti Alla complessità dei temi e alla diversità delle soluzioni, nelle raccolta delle Odi possiamo distinguere alcuni filoni principali:
·         Religioso: Orazio deve trattare della religione nelle forme e nei modi consacrati dall’uso politico. Di qui la presenza, nella raccolta, di preghiere e di inni, che in qualche caso compaiono riferiti anche a oggetti insoliti. Un caso particolare è costituito dal Carmen saeculare, in cui viene ripresa la funzione originaria dell’inno: unico tra i carmi oraziani, esso ebbe infatti una destinazione ufficiale. In esso il motivo religioso si mescola a temi civili: la celebrazione di Roma e della sua gloriosa immortale e l’esaltazione di Augusto, autore della grandezza e della prosperità dello Stato.
·         Erotico: in cui rientrano numerosi componimenti. A differenza di quanto avviene nella poesia elegiaca contemporanea, i carmi si presentano come episodi in sé conclusi. L’occasione e la situazione prevalgono sui personaggi. L’arte oraziana ci offre infatti una serie di schizzi legati a momenti circoscritti e autonomi, in cui le figure femminili vivono e si realizzano nel breve attimo fissato dal carme. Salvo rare eccezioni, la passione è contemplata: a differenza di Catullo, che accentua ed esaspera i toni e i sentimenti, Orazio, con il suo temperamento riflessivo e filosofico, evita il coinvolgimento affettivo e tende al distacco di una lieve e galante ironia.
·         Conviviale: incentrato sulla tradizione greca del simposio, identificato con la cena romana. Le varie occasioni legate al banchetto costituiscono in questi carmi gli ingredienti topici, associati talora a spunti erotici e frequentemente  a elementi gnomici e moraleggianti.
·         Gnomico: costituisce il vero centro delle Odi oraziane. Pur nella notevole varietà dei motivi, i carmi gnomici ruotano intorno a un solo nucleo tematico fondamentale. Lo svolgimento in positivo porta al riconoscimento di un’alternanza nelle vicende umane e all’invito a sostenere con virile sopportazione le invetriabili avversità. Lo sviluppo in negativo  conduce invece alla constatazione dell’ineluttabilità della morte e della necessità di usufruire pienamente del breve tempo della vita. È il motivo del carpe diem, che non è l’istigazione a un volgare e superficiale edonismo, ma il consiglio di cercare la felicità nel presentare e non in un ipotetico e inaffidabile futuro.
Ritroviamo dunque nelle Odi i principi ispiratori delle Satire, che qui ricevono la loro più nitida formulazione. L’autarkeia è infatti presentata in tutta la sua signorile sobrietà. Della metriotes è invece colto il superiore e difficile equilibrio ed essa trova una formulazione divenuta nel nesso aurea mediocritas.
Per quanto riguarda la poesia civile il poeta latino prende spunto dall’autorevole precedente di Alceo, ma la sua condizione è molto diversa da quella del modello. Il lirico greco partecipava direttamente e con passione alle vicende politiche della sua patria; Orazio non è invece che un semplice spettatore della vita pubblica di Roma. Il suo ruolo di vates gli permette di esortare e ammonire gravemente i concittadini, autorizzato da un’investitura divina. Nasce così una lirica articolata in momenti diversi, che vanno dall’esecrazione delle guerre fratricide e dalla preoccupazione per la situazione dello Stato fino alla celebrazione di Roma e del principe.
Lo stile Il quadro complessivo delle Odi rivela dunque un’estesa gamma di temi, che va dai contenuti lievi dei carmi amorosi fino alla materia elevata e solenne dei componimenti politici. È possibile individuare una pluralità di registri che dalla finezza leggera della poesia erotica passa alla serenità sostenuta della produzione gnomica per giungere all’altezza, e talora alla sublimità pindarica, della lirica civile. Il lessico si pone a un livello superiore rispetto al sermo delle Satire, ma resta al di sotto dell’elevatezza dell’epos; è caratterizzato dall’apertura a vocaboli non propriamente poetici e dal ricorso poco frequente ad arcaismi, neologismi e diminuitivi. La sintassi è in genere semplice, impreziosita talvolta da costruzioni greche o poco comuni. Limitata è la presenza di metafore, immagini audaci e allitterazioni; sono frequenti invece le antitesi e gli enjambements.

Le Epistole

Nel 20 a.C. viene pubblicato il I libro delle Epistole e, più tardi, il II e l’Epistola ai Pisoni. Utilizzando l’esametro, Orazio intendeva porsi sulla stessa linea della produzione satirica, adottando però una forma innovativa, lo schema epistolare in versi. Esso era già stato impiegato da Lucilio, ma era probabilmente originale l’idea di comporre un’intera silloge di lettere in versi. Più di tale novità esteriore, contano però le conseguenze che questa scelta provoca sull’impostazione dei componimenti. Presupponendo infatti un rapporto diretto con un destinatario ben definito, Orazio definisce ai testi un orientamento più rigido e preciso di quello delle Satire, che di regola apparivano genericamente rivolte dall’autore a se stesso e ad una ristretta cerchia di amici. Ciò comporta la preferenza per contenuti non generali, ma ben circostanziati e qualche volta molto specifici e minuti. Accanto a questo carattere  di novità si affiancano tuttavia due aspetti già presenti nelle Satire: da un lato la vena moralistica e soggettiva, seppure con modificazioni notevolissime, e dall’altro la tematica letteraria, sviluppata con maggior apertura e organicità. La convenzione epistolare determina la netta prevalenza dell’impostazione monologica sul dialogo e  accentua la tendenza a tradurre la riflessione etica nei modulo e nelle immagini della lingua parlata. Vengono mantenuti alcuni elementi già delle Satire, come l’uso di favole e di aneddoti, ma si attenua lo spirito, che perde le sue punte più marcatamente comiche e per assumere spesso il carattere di un fine e
leggero umorismo. A esso si aggiungono una sottile malinconia e toni più alti e commossi di quelli delle Satire. Anche il linguaggio appare più cauto, urbano e privo di elementi troppo accentuati ed energici.
I contenuti e il messaggio
La convezione epistolare determina talora componimenti d’occasione, come lettere di convenienza con la richiesta di notizie a un amico, biglietti di raccomandazione, inviti a cena, istruzioni a un servo per la consegna ad Augusto della sua opera. Assai frequenti sono poi le lettere che svolgono temi morali. Le epistole del I libro si situano infatti in un momento in cui il poeta decide di cambiar vita: il presente è il momento della presa di coscienza e della riflessione critica su se stesso. Questa insoddisfazione per la propria condizione morale è il punto di partenza per la ricerca della sapientia, intesa come strumento da applicare ai concreti problemi dell’esistenza. Poco importa pertanto la coerenza filosofica. L’autore non esita a ricorrere a precetti di scuole differenti qualora gli sembrino efficaci per affrontare le difficoltà della vita. È indiscutibile l’epicureismo di fondo. Vi è anzitutto la scherzosa definizione che Orazio dà di sé, come “maiale del branco di Epicuro”, con riferimento all’interpretazione popolare della filosofia epicurea. Il centro della riflessione oraziana continua ad essere costituito dai principi che erano fondamentali fin dalle Satire: l’autarkeia e la metriotes. A essi si aggiunge il tema tipico delle Odi, cioè l’idea dell’imminenza della morte e della necessità di godere di ogni momento dell’esistenza. Nel II libro prevale il tema letterario, in cui l’autore difende la sua opera sull’onda delle polemiche che avevano accompagnato la pubblicazione dei tre libri delle Odi.
L’Ars poetica Una sorta di trattato in versi è la lunga Epistula ad Pisones, nota anche come Ars poetica. Essa esercitò un enorme influsso nelle età successive, fornendo i principi e le norme delle poetiche classicistiche dall’Umanesimo al Settecento. Rivolgendosi a Pisone e ai suoi figli, Orazio vi espone in modo abbastanza sistematico precetti di poetica. Egli tratta prima della poesia, poi del perfetto poeta. La centralità accordata alla tragedia deriva dalla tradizione aristotelica, per cui l’arte è essenzialmente mimesis (imitazione) e quindi i generi teatrali sono la forma più importante di poesia. Orazio enuncia inoltre in modo assai efficace due principi estetici fondamentali: l’idea che la grande poesia è frutto dell’ingenium e dell’ars, e la preferenza accordata al poeta che sa miscere utile dulci (unire l’utile al piacere), dilettando e insieme ammaestrando il lettore. 

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