mercoledì 10 agosto 2016

L'Italia nell'età della Destra e della Sinistra storica


L’eredità degli stati preunitari

L’Italia, un paese arretrato
La povertà era diffusa, in particolare nelle campagne, accompagnata da fame e ignoranza. La mortalità infantile raggiungeva il 20%. Tre quarti della popolazione era analfabeta. Il territorio italiano era solo in parte adatto all'agricoltura: occupato per circa due terzi da montagne, per il 20% era costituito da aree incolte o paludose e vaste aree erano interessate da fenomeni di dissesto idrogeologico. La grande maggioranza degli Italiani viveva nelle campagne e il 70% della popolazione lavoratrice era dedita all'agricoltura, attività che incideva per il 58% sul Prodotto lordo del paese. Negli stessi anni, la percentuale della manodopera agricola era ad esempio, del 22% in Gran Bretagna, del 52% in Francia e del 55% in Germania.
Esisteva già il divario tra Nord e Sud?
Le differenze più vistose tra Nord e Sud del paese riguardavano:
·         le diverse percentuali di analfabetismo, con una maggiore presenza di analfabeti nel Sud;
·         la viabilità, ovvero la maggiore estensione della rete stradale e ferroviaria del Nord rispetto a quella del Sud;
·         la struttura della proprietà agricola, con la presenza del latifondo al Sud,mentre al Nord si diffondevano le aziende agricole moderne condotte con criteri capitalistici.
In conclusione il Regno delle Due Sicilie era un paese in equilibrio economico (diffusa era, come al Nord, la miseria ma non vi era emigrazione) la cui politica si ispirava però ancora ai principi del mercantilismo secondo cui la ricchezza nazionale era identificata con il possesso di metalli preziosi: da qui l'azione dello Stato tesa a favorire le esportazioni (soprattutto agricole, come grano e olio) e a ridurre il più possibile importazioni di manufatti stranieri. Ne derivava un generale disinteresse per gli investi menti nell'istruzione e nelle infrastrutture, come la costruzione di strade e ferrovie premessa indispensabile al decollo industriale del paese

La destra storica al potere

La Destra storica
Dal 1861 al 1876 l’Italia fu governata dalla «Destra storica», cosi chiamata perchè, come la Sinistra di quel periodo, ebbe un ruolo «storico» nella formazione dell'Italia. Di fatto la Destra storica occupò una posizione centrale nel dibattito politico. Questi erano gli schieramenti parlamentari dell'epoca:
·         al centro vi erano i moderati eredi di Cavour (la Destra storica), esponenti dell'aristocrazia terriera;
·         la destra in senso stretto era costituita dai clericali e dai reazionari;
·         la sinistra era formata dalla sinistra storica (mazziniani e garibaldini) espressione per lo più della borghesia cittadina.
Destra e Sinistra storiche avevano una concezione liberale dello Stato, ma la Sinistra era di impostazione più democratica: si trattava della destra e della sinistra liberale. In Parlamento era rappresentata una piccola parte del paese: solo il 2% della popolazione aveva diritto di voto, in base al censo e all'istruzione: non c'erano dei veri partiti dotati di una struttura organizzata ma partiti di notabili, schieramenti politici che raggruppavano gli eletti in Parlamento
Accentramento o decentramento?
Il successore di Cavour alla presidenza del Consiglio fu Bettino Ricasoli. La Destra storica dovette decidere l'assetto del nuovo Stato; le soluzioni possibili erano due:
·         lo Stato accentrato (sul modello della Francia napoleonica) che prevedeva un forte controllo del governo centrale sugli enti locali;
·         lo Stato decentrato (sul modello della Gran Bretagna) che lasciava ampie libertà amministrative e giudiziarie agli enti locali.
Fu scelto il modello di Stato accentrato. Il centralismo e l'estensione del modello piemontese al resto della penisola indicavano come l'Italia fosse considerata un'estensione del Regno di Sardegna. La Destra storica fu perciò accusata di piemontesismo
Libero scambio e pareggio del bilancio
L'Italia era uno Stato arretrato e il bilancio era in deficit. Per risolvere questi problemi la Destra storica:
·         avviò una politica liberista favorendo il libero scambio sia all'interno del paese sia verso l'esterno;
·         ricercò il pareggio del bilancio per dare credibilità all'Italia nell'ambito della comunità finanziaria internazionale e attirare capitali stranieri, i quali avrebbero accelerato lo sviluppo economico. A questo scopo vennero venduti terreni ecclesiastici e del demanio pubblico. Ma soprattutto vennero introdotte pesanti imposte, in particolare indirette come la tassa sul macinato.
Il grande brigantaggio
Anche la rivolta sociale esplosa nel Mezzogiorno dopo l'unificazione aveva spinto il governo verso l'accentramento. Le masse popolari avevano sperato in un cambiamento non solo politico, ma anche sociale, ed erano state deluse. Con l'imposizione di nuove tasse e del servizio si scatenò la rivolta. Molte bande di «briganti», spesso sostenuti finanziariamente dai Borboni, iniziarono una guerriglia contro lo Stato, percepito come nemico. La Destra reagì con la repressione e con un massiccio invio di truppe: ne seguirono stragi e rappresaglie da entrambe le parti. La Destra non volle quindi considerare i problemi sociali alla base delle rivolte. Questo atteggiamento alimento il diffondersi di fenomeni di malavita organizzata (come la camorra e la mafia, già esistenti che ancora oggi devastano il paese).

Il completamento dell’Unità d’Italia

Firenze capitale d’Italia
Veneto, Trentino, Friuli Venezia Giulia, Lazio e soprattutto Roma non facevano parte del Regno d'Italia. Mentre mazziniani e garibaldini sollecitavano la conquista armata di Roma, la Destra storica era contraria: temeva la reazione della Francia, cattolica e schierata con il papa. Si cercò allora l'accordo: con la Convenzione di Settembre l'Italia si impegnò a difendere lo Stato Pontificio in cambio del ritiro delle truppe francesi da Roma. La capitale venne spostata da Torino a Firenze in segno di rinuncia a Roma.
La terza guerra d’indipendenza
Nel 1866 l'Italia affiancò la Prussia nella guerra contro l'Austria. La terza guerra d'in dipendenza, nonostante le sconfitte italiane a Custoza e Lissa, venne vinta dagli Italo-Tedeschi grazie alla vittoria prussiana a Sadowa. Con la pace di Vienna l'Italia ottenne il Veneto.
Roma capitale d’Italia
Il mazziniani e i garibaldini si riorganizzarono per liberare Roma. Garibaldi, penetrato con 3000 volontari nello Stato Pontificio, si scontrò con i Francesi a Mentana e fu sconfitto. Fu grazie alla caduta del Secondo Impero francese che l'esercito italiano potè entrare in Roma, che venne annessa al Regno d'Italia. Pio IX respinse la legge delle «guarentigie» (le garanzie offertegli dallo Stato italiano, come l'extraterritorialità del Vaticano) e con il non expedit vietò ai cattolici di partecipare alla vita politica italiana, aprendo una profonda frattura tra il mondo cattolico e quello laico.

La sinistra storica al potere

La “caduta” della Destra storica
Il 16 marzo del 1876 il presidente del Consiglio Marco Minghetti annunciò ufficialmente il raggiungimento del pareggio del bilancio: la Destra storica aveva vinto la sua battaglia. La Destra storica aveva scongiurato il fallimento economico e dato credibilità internazionale all’Italia, ma la sua politica aveva dei grossi limiti:
·         non aveva compreso l’esigenza di riforme;
·         il libero scambio aveva messo in crisi l’economia meridionale ed esposto la nascente industria italiana alla concorrenza straniera.
La Destra, sempre più divisa al suo interno, nel 1876 perse l’appoggio della maggioranza e “cadde”.
La Sinistra storica al potere
Il re affidò l’incarico di formare il nuovo governo al leader dell’opposizione, Agostino Depretis. Pochi mesi dopo si tennero le nuove elezioni, che videro la vittoria della Sinistra storica, che avrebbe governato fino al 1896.  L’8 ottobre 1876 Depretis presentò a Stradella un ambizioso programma politico. Infatti, intendeva:
·         eliminare la piaga dell’analfabetismo;
·         allargare il suffragio elettorale;
·         abolire la tassa sul macinato;
·         decentrare l’amministrazione pubblica.
Le riforme di Depretis
La Sinistra, guidata da Agostino Depretis, aveva attenuato la sua tendenza democratica, ma rimaneva promotrice di riforme. Infatti fu proprio con Depretis che:
·         Venne emanata la Legge Coppino, che prevedeva che l’obbligo scolastico venisse innalzato a nove anni di età. Inoltre furono aperte numerose scuole, anche serali.
·         Si cercò una politica fiscale meno oppressiva ma ciò fece lievitare la spesa pubblica e ricomparire il deficit del bilancio.
·         Nel 1882 una riforma elettorale allargò il diritto di voto a tutti i cittadini maschi maggiorenni (21 anni) che avessero frequentato almeno la seconda elementare e che pagavano almeno 20 lire d’imposta l’anno.
La politica parlamentare
La Sinistra vinse le elezioni del 1882 ma la Destra ottenne un buon risultato elettorale. Depretis allora si rivolse ai deputati della Destra invitandoli a entrare nella maggioranza, cioè a poter scegliere in che partito stare. Questo fenomeno fu detto trasformismo e segnò la fine di ogni distinzione ideologica e programmatica tra Destra e Sinistra. Con il trasformismo si creò una forte maggioranza di centro. Inoltre, vennero isolate la destra conservatrice e la sinistra estrema. Così facendo però si finì con il favorire la corruzione: a seconda della legge da approvare si costituivano maggioranze diverse con scambi di favori tra governo e parlamentari.
La politica economica
Negli anni Ottanta l’agricoltura (che era ancora il settore prevalente) e l’industria entrarono in crisi. Nel 1887 il governo, spinto da blocchi  di agrari e industriali, abbandonò la politica liberoscambista e adottò tariffe doganali per proteggere la produzione nazionale dalla concorrenza straniera. Gli effetti del protezionismo furono positivi sulla produzione industriale, negativi per l’agricoltura del Sud, colpita dalla ritorsione degli altri paesi. Inoltre, si verificò un generale aumento dei prezzi che causò un peggioramento delle condizioni di vita delle masse popolari, con conseguente crescita dei conflitti sociali e dell’emigrazione.
La politica estera
Anche in politica estera la Sinistra storica operò una radicale svolta rispetto alla Destra. Infatti, quando nel 1882 l’Italia si trovò a dover affrontare la Francia che aveva occupato Tunisi, si alleò con la Germania e con l’Austria dando vita alla Triplice Alleanza, che fu un accordo difensivo. Questa alleanza:
·         Suscitò le proposte degli irredentisti, in quanto l’Italia rinunciava implicitamente alle tere “irredente”, ancora in mano austriaca, ovvero Trentino e Friuli Venezia Giulia;
·         Fu economicamente vantaggiosa: l’afflusso di capitali tedeschi permise il finanziamento dell’industria italiana.
Contemporaneamente prendeva il via l’avventura coloniale, ma il tentativo di conquistare l’Etiopia fallì con la grave sconfitta di Dogali (1887).

Dallo Stato forte di Crispi alla crisi di fine secolo

Francesco Crispi
Alla morte di Depretis, gli succedette Francesco Crispi, che fu il primo uomo meridionale a diventare presidente del Consiglio e che governò l'Italia per quasi vent’anni. Era un sostenitore della necessità di uno Stato forte, e per questo avviò una politica autoritaria:
·         L'apparato amministrativo venne riformata in senso centralista;
·         la politica filotedesca e antifrancese portò  alla "guerra doganale" con la Francia;
·         ci furono anche aperture progressiste: venne abolita la pena di morte è riconosciuta una limitata libertà di sciopero, ma contemporaneamente vennero ristretti i diritti sindacali e accresciuti  i poteri della polizia.
·         fece promulgare un nuovo codice penale, noto come codice Zanardelli.
Il primo governo Giolitti
All’autoritaria politica interna, Crispi affiancò un’aggressiva politica coloniale. Infatti cercò di rilanciare la politica coloniale ma la maggioranza, data la crisi economica, era preoccupata dei costi dell'operazione. Così nel 1891 Crispi si dimise. La presidenza del Consiglio passò prima a Di Rudinì poi a Giovanni Giolitti, che dovette affrontare il moto popolare dei Fasci siciliani, aggregazione eterogenea di lavoratori che protestavano contro le pesanti tasse, contro i latifondisti e per una più equa distribuzione delle terre. Giolitti, accusato di debolezza per non aver adottato metodi repressivi nella gestione dei moti e di aver coperto lo scandalo della Banca Romana, che aveva cominciato a stampare lire n eccedenza rispetto ai limiti della legge, alla fine del 1893 si dimise.
Il ritorno di Crispi
Tornato al potere, Crispi proclamò immediatamente lo stato di assedio, cioè un provvedimento cui si ricorre in casi eccezionali. Crispi:
·         represse duramente la protesta dei Fasci;
·         rilanciò la politica coloniale puntando alla conquista dell'Etiopia, ma nel 1896 gli Italiani furono sconfitti presso Adua. Travolto dalle critiche, Crispi si dimise. Terminava l'età della Sinistra storica e si apriva un periodo di crisi politica istituzionale.
La crisi di fine secolo
Il nuovo presidente del Consiglio, Di Rudinì, concluse con Menelik (l'imperatore d'Etiopia) un trattato con cui l'Italia rinunciava alle pretese sulla Etiopia e limitava il suo dominio all'Eritrea e la Somalia. Nel 1898 una grave crisi economica colpì l'Italia. A causa dell'aumento del prezzo del pane, ci fu un'ondata di proteste e a Milano il generale Bava Beccaris (poi decorato da Umberto I) ordino di cannoneggiare la folla causando una strage. Molti dirigenti socialisti vennero arrestati, la libertà di stampa fu limitata. Data la situazione, Di Rudinì si dimise e fu sostituito dal generale Pelloux, il quale intendeva proseguire con la linea repressiva. L'ostruzionismo dell'estrema sinistra lo costrinse però a sciogliere le camere e a indire nuove elezioni che videro avanzare i socialisti.
Le conseguenze del regicidio

Negli ambienti anarchici maturò l’idea di vendicare tutte quelle vittime de cannoni di Bava Beccaris. Per questo il 29 luglio 1900 l'anarchico Bresci uccise il re Umberto I. La morte del re aprì nuovi scenari di concordia fra gli Italiani e tra le forze politiche. Il nuovo re Vittorio Emanuele III affidò il governo a Zanardelli. Giovanni Giolitti divenne ministro degli interni: inizia così l'età giolittiana. 

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