giovedì 11 agosto 2016

Il '700 con i rispettivi autori


La trattatistica e la prosa di pensiero 

La trattatistica del primo Settecento
Nella prima metà del Settecento il dibattito culturale in Italia è ristretto a un gruppo di intellettuali ancora lontani dalla creazione di un linguaggio pienamente divulgativo, ma portatori di un nuovo modello di indagine, fondato sulla validità scientifica e finalizzato alla pubblica utilità. Gli studi storiografici, giuridici, politici, filologi e filosofici risentono di questo nuovo clima, anche se l’arretratezza dell’Italia rispetto ad altri Paesi e il forte condizionamento ecclesiastico ostacolano notevolmente la libera attività di ricerca. Un esempio emblematico a quest’ultimo riguardo è costituito dalla vicenda del giurista Pietro Giannone (1676-1748), autore di trattati che documentano la corruzione della Chiesa: le istituzioni impedirono la diffusione delle opere, pubblicate solo alla fine dell’Ottocento, e lo scrittore fu incarcerato. Tra gli studiosi che meglio incarnano lo spirito “progressista” tipico del Settecento europeo, oltre a Giannone, figurano lo storico e filosofo Ludovico Antonio Muratori e il filosofo Giambattista Vico.



Ludovico Antonio Muratori
Nato da un’umile famiglia nei pressi di Modena, Muratori (1672-1750) prese i voti sacerdotali dopo esserci laureato in Filosofia e Diritto. Ricercatore ed editore di testi antichi, scrisse trattati di argomento letterario, politico, storico e metodologico (sull’organizzazione del lavoro intellettuale), sempre permeati da uno spirito di revisione critica delle certezze tradizionali. La sua opera più impegnativa è una poderosa raccolta di documenti storici riferibili al periodo che va dl 500 fino al 1500, accompagnata da commenti in latino ai materiali editi. Oltre ad avere una straordinaria importanza documentaria, la raccolta ha il duplice merito di aver “scoperto” il Medio Evo, fino a quel momento trascurato dagli studiosi, e di aver proposto un’interpretazione della storia come logica concatenazione di vicende mosse da ragioni concrete ed esclusivamente umane. Di notevole interesse è anche l trattato Del governo della peste e delle maniere di guardarsene (1714): composto sotto l’urgenza di un’imminente pestilenza, esso offre alcuni suggerimenti per gestire razionalmente l’epidemia, senza affidarsi a spiegazioni superstiziose. L’opera, scritta in lingua volgare, dimostra un intento divulgativo che Muratori confermerà più avanti, sintetizzando e traducendo in italiano i Rerum Italicarum Scriptores.



Giambattista Vico
Originario di Napoli, Vico (1668-1744) studiò logica e metafisica presso i Gesuiti per poi proseguire gli studi come autodidatta. Esercitò la professione d’insegnante e negli ultimi annidi vita ricoprì il prestigioso incarico di storiografo regio. Partendo dal presupposto che l’uomo non può conoscere razionalmente ciò che non ha creato (la natura e l’ordine metafisico), il filosofo s’impegna nell’elaborazione di un’opera, la Scienza nuova, incentrata sulla storia di tutte le attività umane (politiche, religiose, letterarie,…). La teoria di Vico individua nella storia un’evoluzione simile a quella della vita del singolo: come nell’uomo si succedono la fanciullezza, la giovinezza e la maturità, così nella storia si succedono (ma sono possibili anche “ricorsi”, ossia processi regressivi) tre età: quella “degli dei”, contrassegnata dalle credenze religiose, quella “degli eroi”, animata dalla fantasia e dominata dalla forza, e quella “degli uomini”, caratterizzata dalla razionalità e dal diritto. Vico supera così la tradizionale distinzione tra società primitive e società “civili”, dimostrano che le prime sono tappe essenziali nell’evoluzione delle civiltà. La Scienza Nuova rappresenta una svolta importante nella storia del pensiero occidentale, poiché getta le basi su cui si svilupperà lo storicismo romantico e dà origine allo studio scientifico di aspetti della cultura rimasti fino ad allora trascurati, come la mitologia, la religione, il linguaggio.

La poesia lirica e drammatica dell’età dell’Arcadia

La lirica arcadica
La poesia del Settecento è caratterizzata dal rifiuto delle “stravaganze” barocche in nome della razionalità e dal conseguente recupero dei modelli classici, secondo le linee guida indicate dall’Accademia d’Arcadia, fondata a Roma nel 1690. Il classicismo arcadico si risolve nell’imitazione della lirica petrarchesca, ammirata non soltanto come modello di “buon gusto” e chiarezza ma anche come espressione di sentimenti “sani” e morali, in opposizione all’edonismo marinista. Tema prediletto è il mondo pastorale, nel quale viene proiettato il vagheggiamento di una vita ideale dove regnano la semplicità della natura e l’eros galante e aggraziato, cantanti in forme metriche di scorrevole cantabilità come la “canzonetta”. La vastissima produzione arcadica testimonia la solidità di una civiltà letteraria radicata nella tradizione umanistico-rinascimentale e la diffusa padronanza di mezzi tecnici; nello stesso tempo, tuttavia, essa si rivela piuttosto ripetitiva e stereotipata nei temi e nei moduli espressivi, mostrando i limiti propri di una poesia puramente accademica, estranea alle sollecitazioni della società civile. Il gusto per la musicalità, tipico dell’Arcadia, trova la sua principale espressione nelle “cantate” e nelle “canzonette”.
La letteratura drammatica
Il razionalismo arcadico e i canoni classicisti influenzano profondamente l’evoluzione dei generi drammatici. Ad Apostolo Zeno e a Piero Metastasio si deve una riforma del melodramma mirante a restituire dignità letteraria al “libretto” (il testo poetico, nel Seicento del tutto subordinato alla musica) e ad immettervi temi eroici oppure legati all’esplorazione delle passioni che agitano l’animo umano. Un analogo spirito di rinnovamento si manifesta nella commedia, ricondotta entro i confini del “buon gusto”e della fedeltà ad un testo letterario, contro l’improvvisazione tipica della Commedia dell’Arte. Un inizio di riforma si registra anche a proposito della tragedia, che da testo pensato per la lettura o per la declamazione si trasforma in “copione” destinato alla rappresentazione sulla scena. 

Metastasio e la riforma del melodramma



Pietro Metastasio (1698-1782), originario di Roma, entra a far parte dell’Arcadia dopo essersi formato sotto la guida di Gian Vincenzo Gravina, uno dei fondatori dell’Accademia . Lasciata Roma, si trasferisce a Napoli e poi a Vienna,  dove riceve l’incarica di poeta ufficiale della corte imperiale. La sua poetica è fortemente influenzata dalla formazione cartesiana e dall’impostazione arcadica, che lo inducono ad indagare con razionalità il mondo dei sentimenti, il tema principale della sua opera, mettendone in luce la complessità attraverso un linguaggio estremamente limpido e lineare. Oltre che nel campo della lirica, Metastasio si cimenta in quello del melodramma, portando a compimento la riforma del genere già iniziata da Apostolo Zeno. Il poeta punta all’organicità dell’opera, rendendo funzionali allo svolgimento drammatico le “ariette” cantabili che si alternano ai “recitativi” (le parti in cui sviluppa l’azione). L’analisi delle umane passioni, spesso condotta attraverso la contrapposizione di sentimenti e personaggi antitetici, è al centro del melodramma “di situazione”, tipici della prima produzione di Metastasio (è il caso della Didone abbandonata o dell’Olimpiade). A partire dal 1733 il poeta predilige il tema della grandezza eroica e rinnova la struttura dei melodrammi, fondando la vicenda sulla presenza costante del protagonista.

Illuminismo in Francia 

Caratteri generali
L’affermarsi nel Seicento di nuovi atteggiamenti filosofici e metodi di ricerca di tipo razionalista ed empirista stimola nella seconda metà del Settecento la nascita dell’Illuminismo, un movimento che si propone di lottare contro tutti i residui irrazionali perduranti nella vita politica, economica, sociale e culturale: non a caso esso ha il suo polo d’irradiazione in Francia, governata da una monarchia assoluta nella quale gli antichi privilegi ecclesiastici e nobiliari, ancora forti, impediscono una politica di riforme. L’Illuminismo genera una nuova figura d’intellettuale, il philosophe, i cui interessi si allargano a ogni ambito della conoscenza e che concepisce la cultura come indagine razionale della realtà a concreto vantaggio della società. Oltre alla saggistica, gli illuministi francesi si cimentano nella narrativa, che diventa la forma privilegiata per divulgare, attraverso la finzione letteraria, i nuovi principi filosofici.



Voltaire
L’esponente più influente dell’Illuminismo è Voltaire (1694-1778), autore di saggi storici, politici e filosofici, di tragedie e di romanzi “filosofici”. Questi ultimi sono accomunati da un’originale impostazione: le vicende sono trasposizioni allegoriche di teorie filosofiche di cui l’autore intende dimostrare l’infondatezza attraverso il procedimento paradossale di accettarle per svilupparne le premesse fino all’assurdo. Nel romanzo più famoso, Candido o l’ottimismo (1759), le disavventure del protagonista svelano ad esempio l’inconsistenza della tesi di Leibniz secondo cui il nostro mondo è il migliore tra quelli possibili.

L’Illuminismo in Italia 

Caratteri generali
In Italia l’Illuminismo si diffonde principalmente negli Stati guidati da sovrani che attuano una politica di riforme intese ad ammodernare le strutture amministrative ed economiche, come Maria Teresa d’Austria a Milano e Carlo di Borbone a Napoli, e che si servono a questo fine della collaborazione degli intellettuali. Appunto a Milano e a Napoli si formano gli esponenti più significativi dell’Illuminismo italiano, i quali provengono spesso dalle file dell’aristocrazia ma si fanno portavoce delle istanze della borghesia emergente e, più in generale, dei valori dell’equità, cosmopolitismo e razionalità elaborati dai philosophes francesi. Sul piano letterario, essi si sbattono per una cultura attenta ai problemi concreti della realtà contemporanea e capace di raggiungere un pubblico socialmente eterogeneo grazie a un linguaggio semplice e diretto.
“Il Caffè”
A Milano il gruppo degli illuministi si forma inizialmente in seno all’Accademia dei Pugni, ma l’esigenza di avvicinare pubblico più ampio di quello accademico induce presto questi intellettuali a scegliere la rivista come “luogo” privilegiato della propria attività culturale sull’esempio del giornalismo inglese. Per iniziativa di Pietro e Alessandro Verri viene fondato a questo scopo, sempre a Milano, “Il Caffè”, un periodico che nei suoi due anni di vita costituisce la cassa di risonanza delle posizioni più avanzate della cultura italiana. 

Cesare Beccaria


Proveniente da una nobile famiglia milanese, Cesare Beccaria (1738-94), nonno di Alessandro Manzoni, fu tra i collaboratori del “Caffè” e ricoprì importanti incarichi nell’amministrazione dello Stato milanese. Il suo capolavoro è il saggio Dei delitti e delle pene (1763-64), che propone un’analisi lucida ed efficace del sistema giudiziario e penitenziario del tempo, mettendo in evidenza la barbarie del procedimenti di accertamento della verità e di carcerazione. L’opera ebbe una vasta risonanza anche all’estero e ispirò la riforma della giustizia attuata in Russia da Caterina II.

Pietro Verri


I fratelli Pietro e Alessandro Verri, fondatori del “Caffè”, anch’essi rampolli di una nobile famiglia milanese, svolsero un ruolo importante nell’ambito dell’Illuminismo italiano. Pietro (1728-97), principale ideatore e animatore della rivista, è autore di trattati filosofici che recepiscono le teorie sensiste di Claude-Adrien Helvètius ed Ètienne Bonnot de Condillac, secondo le quali la sensazione è la fonte esclusiva di ogni conoscenza. All’interesse filosofico egli affianca l’impegno come funzionario e consigliere del governo austriaco in materia economica, un campo d’indagine cui si collega il saggio Meditazione sull’economia politica (1771). Alcune sue opere sono infine dedicate alla ricerca storica: è il caso delle Osservazioni sulla tortura (1777), nelle quali sono sottoposte a dura critica le pratiche giudiziarie adottate nei processi agli “untori” accusati di diffondere il contagio durante la peste del 1630. 

Alessandro Verri



Autore di romanzi e saggi storici, Alessandro Verri (1741-1816) fu tra i più attivi collaboratori del “Caffè”, sul quale pubblicò numerosi articoli d’argomento letterario, politico, giuridico, morale, psicologico e pedagogico. Tra i suoi interventi, riveste particolare interesse il primo articolo, nel quale l’autore esprime a nome dell’intero gruppo del “Caffè” l’esigenza di sgravare la letteratura dal retaggio della pedante erudizione accademica.

Carlo Goldoni 



Tra i massimi esponenti della drammaturgia sul versante della commedia, Goldoni rappresenta un nuovo tipo d’intellettuale, che preannuncia per molti aspetti la figura dello scrittore destinata a imporsi nella società borghese dell’Ottocento: è un autore che vive esclusivamente dei proventi della professione intellettuale e che scrive per il “mercato”, adattando le proprie scelte artistiche ai gusti degli spettatori. Il teatro è infatti l’unico settore della cultura italiana in cui esista già nel Settecento un vero e proprio mercato, particolarmente vivace a Venezia, dove Goldoni si forma e svolge gran parte della sua attività.
L’Illuminismo di Goldoni
A Venezia l’assimilazione degli ideali illuministi rimane circoscritta all’ambito teorico, senza trasformarsi in concreta azione riformista a livello politico e amministrativo. In tale contesto Goldoni fa propri i principali aspetti della visione illuminista diffusa nei ceti medi borghesi: il pragmatismo, il senso della socialità come valore, la polemica contro i vizi della nobiltà, gli spunti egualitari. Tuttavia egli non auspica un cambiamento radicale della società, un sovvertimento dell’ordine costituito, bensì una proficua collaborazione tra i ceti che favorisca un progresso senza scosse, ispirato ai principi della Ragione.
La riforma della commedia
Nella seconda metà del Settecento il panorama teatrale italiano era ancora dominato dalla Commedia dell’Arte: gli attori impersonavano maschere tradizionali, corrispondenti a tipi fissi, improvvisando le battute sulla base di un canovaccio che dava indicazioni sommarie dell’intreccio. Nei confronti di questa forma teatrale, divenuta ripetitiva e volgare, Goldoni assume un atteggiamento polemico, coerente con il clima della cultura arcadica e razionalista, che aspira all’ordine, al buon gusto e alla naturalezza contro le stravaganze del Barocco. Nella sua “riforma” della commedia Goldoni non si rifà tuttavia a modelli astratti e libreschi, com’è invece tipico del classicismo settecentesco, bensì al “Mondo” e al “Teatro”: egli intende proporre opere che incontrino il favore del pubblico e che riproducano verisimilmente la società contemporanea. I tipi fissi e le maschere tradizionali della Commedia dell’Arte sono sostituiti da caratteri individuali, che hanno la complessità psicologica delle persone reali e sono posti in relazione con un preciso ambiente sociale; gli intrecci si fanno più lineari, coerenti e verisimili, rispecchiando la realtà concreta e quotidiana; gli attori sono chiamati a memorizzare e a recitare sulla scena le battute del testo scritto dall’autore; alla comicità volgare e buffonesca si preferiscono toni più composti. Tali cambiamenti trovano inizialmente forti resistenze da parte degli attori, ancora legati alla tecnica dell’improvvisazione, da parte del pubblico, abituato a un diverso tipo di spettacolo e di comicità, e da parte degli impresari, poco propensi ad affrontare imprese rischiose. Per queste ragioni Goldoni attua la sua riforma gradualmente: inizia con la stesura delle battute del protagonista (1738), dopo alcuni anni passa  ascrivere quelle di tutti i personaggi (1743) e conserva a lungo le maschere della Commedia dell’Arte, trasformandole da tipi fissi in caratteri prima di eliminarle completamente.
L’itinerario della commedia goldoniana
Al centro della commedia goldoniana si trova la so-cietà veneziana contemporanea, che pur essendo governata da un'oligarchia nobiliare e conservatrice, aveva visto lo sviluppo di un solido ceto mercanti- de e borghese. Goldoni si fa interprete dei valori e della visione della realtà di questa classe sociale a cui egli stesso appartiene, esaltando nella prima fase della sua produzione (fino al 1752) la figura del mercante economo, onesto e laborioso contro quel la del nobile dissipatore, superbo e ozioso. A questa fase di intensa creatività, durante la quale è attuata la "riforma", ne segue una di crisi (1753-58), provocata dalle critiche degli avversari e dai mutati gusti del pubblico, che preferisce commedie avventurose d'ambientazione esotica. Goldoni asseconda in par- te le nuove esigenze "di mercato scrivendo testi romanzeschi; continua tuttavia a scrivere commedie di carattere", incentrate ora su personaggi nevrotici e asociali, nei quali sembrano riflettersi le difficoltà psicologiche dell'autore. Superata la crisi, Goldoni torna, nella produzione della maturità (1758-62), a ritrarre la borghesia veneziana, ma con occhio più critico, mettendone in luce l'attaccamento all'inte-resse economico, la ristrettezza di vedute, oppure l'ostentazione, la smania d'apparire; con maggiore simpatia sono invece considerati i ceti subalterni, di cui si esaltano la socialità, la vitalità, l'intraprenden-za. Con il trasferimento a Parigi, di fronte a un pubblico ancora fermo agli scenari della Commedia dell'Arte, Goldoni è costretto a rinunciare alle soluzioni più moderne del suo repertorio per privilegiare intrecci complicati, basati sullo schema dell'equivoco.
Gli scritti autobiografici
Nell'ultima fase del la sua vita Goldoni si dedica alla composizione di un'opera autobiografica in francese, i Memoires, in cui ripercorre le tappe della propria vocazione e della propria carriera teatrale. Si tratta di una fonte preziosa per la conoscenza dell'ambiente teatrale e della poetica dell'autore. Di analogo contenuto sono le cosiddette Memorie italiane, ossia l'insieme delle prefazioni premesse dall'autore all'edizione delle sue opere.
La lingua
L'adesione alla realtà condiziona la lingua goldoniana, che riflette quella della conversa-zione quotidiana. Una certa piattezza e convenzio-nalità, tipica dell'italiano "parlato" (riservato nella realtà alla comunicazione ufficiale o tra persone di diversa provenienza), caratterizza le commedie "in lingua mentre maggiore vivacità e colore ha il dia letto utilizzato nelle opere destinate al pubblico veneziano.

Giuseppe Parini 



Nato da una famiglia di modesta condizione e costretto ad abbracciare la carriera ecclesiastica per completare gli studi,  Parini lavora a lungo come precettore presso nobili famiglie milanesi, per poi passare al servizio del governo "illuminato" austriaco, assumendo incarichi ufficiali nell'amministrazione lombarda. Egli rappresenta dunque la tipica figura dell'intellettuale progressista, impegnato in prima persona nella battaglia civile, nella lotta, in nome della ragione, contro le storture che affliggono la realtà contemporanea. Tale istanza si concilia tuttavia con un culto della dignità formale e dei modelli classici, che fa di Parini un esponente atipico dell'Illuminismo milanese e uno dei precursori del Neoclassicismo.
Parini e gli illuministi
Nei confronti dell'Illuminismo francese Parini esprime un atteggiamento ambivalente. Pur condividendone i principi egualitari, il filantropismo, la polemica contro i privilegi nobiliari, la condanna di ogni fanatismo, egli ne respinge le posizioni più radicali in campo religioso e sociale: contro l'ateismo illuminista, egli esprime la convinzione che il cristianesimo possa costituire il fonda- mento di un'ordinata convivenza civile e rivelare il senso ultimo dell'esistenza; quanto alla critica nei confronti dell'aristocrazia, essa non deve tendere secondo Parini, all'eliminazione di quella classe, ma a un suo reinserimento produttivo nel corpo sociale. Anche rispetto all'illuminismo lombardo che fa capo al "Caffè" e all'Accademia dei Pugni sono numerosi i punti di dissenso: Parini ne rifiuta sia il cosmopolitismo culturale, sostenendo la necessità di difendere la cultura e la lingua italiane dalle influenze francesi sia la concezione esclusivamente utilitaristica della cultura, essendo convinto assertore di una lettera tura che unisca «l'utile» al «lusinghevol canto». In ambito economico, inoltre, Parini appare vicino alle posizioni dei fisiocratici, che vedevano nell'agricoltura, anziché nel commercio e nell'industria, l'unica attività veramente produttiva, capace di creare ricchezza.
Le prime odi
Ancora legato ai modi dell'Arcadia nella sua prima raccolta, Alcune poesie di Ripano Eupilino, Parini dà vita a un nuovo tipo di poesia, impegnata nella battaglia per il rinnovamento civile, nelle sue prime odi, risalenti agli anni 1756-69. Gli argomenti sono strettamente legati all'attualità: la contrapposizione tra città e campagna, l'igiene pubblica, la scienza, l'educazione, le cause della criminalità ecc. Le odi presentano dunque un mate ria innovativa rispetto alla tradizione poetica, e ciò comporta l'introduzione di termini realistici, spesso ricavati dalle scienze moderne. Seguendo la poetica del sensismo, Parini ricerca pertanto un lessico energico e concreto, capace di suscitare immagini e sensazioni molto vivide contro l'astratta genericità del linguaggio arcadico. Il poeta si sforza d'altro canto di restare fedele alla tradizione e a questo fine utilizza con frequenza procedimenti espressivi, come perifrasi, sineddochi e aggettivi esornativi, che innalzano il tono e conferiscono dignità poetica alla materia
Il Giorno: il Mattino e il Mezzogiorno
Allo stesso periodo delle prime odi risalgono le due parti iniziali del poema in endecasillabi sciolti ll Giorno: il Mattino (1763) e il Mezzogiorno (1765). L'opera, che rientra apparentemente nel genere didascalico de scrive una giornata "qualsiasi" di un giovane aristocratico milanese per voce di un precettore, che insegna al protagonista come trascorrere piacevolmente il tempo, tutto il discorso del precettore è impostato in chiave ironica, poiché i suoi ammaestramenti e la sua esaltazione iperbolica dei costumi di vita aristocratici fanno emergere per antifrasi l'immoralità e la vuota superficialità di quest'ultima, oggetto di un'aspra critica da parte del poeta. La raffigurazione della nobiltà contemporanea è il piano dominante dell'opera, ma non è l'unico; marginalmente compaiono infatti riferimenti all'aristocrazia del passato più attiva e coraggiosa, e alle classi popolari, portatrici di valori positivi. Al severo moralismo della satira si contrappone la grazia leziosa e sensuale con cui oggetti e gesti sono descritti: essa concorre a stigmatizzare la futilità dell'ambiente rappresentato, ma nello stesso tempo corrisponde al gusto rococò tipico dell'epoca, di cui il poeta sembra risentire. Una certa ambiguità tra edonismo e moralismo si determina anche a livello formale, poiché la mediocrità della materia è sublimata da un linguaggio più e aulico, attinto sapientemente alla tradizione illustre.
…il Vespro e la Notte

Secondo il progetto originario, il Giorno doveva comprendere una terza sezione, dal titolo la Sera, che venne però sdoppiata successivamente in due parti, il Vespro e la Notte, rimaste entrambe incompiute. In esse si riflette la delusione di Parini, che a partire dagli anni Settanta- Ottanta si allontana dall'impegno civile trovandosi in disaccordo con la linea autoritaria adottata dal governo austriaco nell'attuazione del programma riformistico. L'aspro spirito polemico e la fiducia nel la possibilità di "educare" la nobiltà lasciano infatti spazio ad un atteggiamento di penosa contemplazione di un mondo vuoto e morente. Il corrispettivo formale di questa tendenza è l'evoluzione dalla poetica sensistica a quella neoclassica, caratterizzata dall'uniformità lessicale, con l'esclusione di vocaboli troppo vividi e realistici, e da una serena e distaccata armonia espressiva. Le ultime odi Il senso del fallimento del programma illuministico si riflette ancor più chiaramente nel secondo e nel terzo gruppo di odi, composte rispettivamente nel 1777 e nel 1783-95. Il poeta rinuncia infatti ad intervenire sui concreti problemi civili e sociali per concentrarsi su temi universali, affrontati con distaccata saggezza, secondo i dettami della poetica neoclassica.

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