Il Congresso di Vienna
La Restaurazione e l’eredità napoleonica
Sconfitto
Napoleone a Lipsia, le grandi potenze
(Austria, Inghilterra, Prussia e Russia) volevano restaurare il vecchio sistema
politico esistente prima della rivoluzione. Con il termine età della Restaurazione si vuole indicare il periodo che va dal 1815 al 1830. Tuttavia, ritornare a quel regime precedente era impossibile,
perché la Rivoluzione francese aveva portato notevoli modifiche:
·
sul
piano sociale aveva posto fine ai
diritti feudali;
·
sul
piano politico aveva abbattuto la
monarchia assoluta, introdotto la monarchia costituzionale, la repubblica e la dittatura plebiscitaria di Napoleone;
·
sul
piano ideologico aveva suscitato
nuovi ideali come quelli di patria e di nazione;
·
sul
piano militare aveva rinnovato
l’esercito.
Napoleone,
poi, aveva scardinato equilibri consolidati da secoli, modificando i confini
fra gli Stati, eliminando il Sacro Romano Impero e introducendo un moderno
Codice Civile.
Una “macchina diplomatica”
Bisognava
quindi trovare delle nuove soluzioni che, però, tenessero conto della
trasformazioni irreversibili introdotte dalla rivoluzione. Per questo enne
convocato il Congresso di Vienna
(novembre 1814-giugno 1815), a cui parteciparono 216 delegazioni. Il
Congresso di Vienna giunse alla sua normale conclusione prima ancora della
definitiva disfatta napoleonica a Waterloo. Le principali decisioni furono
prese dai ministri degli Esteri di Gran Bretagna, Austria, Prussia e Russia.
I contrasti tra le potenze
Dopo
la sconfitta di Napoleone, gli stati vincitori volevano aumentare la loro
potenza. Fu proprio per questo che non si potè ricostruire l’antico regime:
infatti, era necessario costruire un nuovo ordine internazionale, nel quale si
ricomponessero le aspirazioni delle grandi
potenze:
·
La
Gran Bretagna mirava ad un
equilibrio tra i paesi dell’Europa continentale, perché l’Inghilterra voleva
ampliare il proprio impero coloniale.
·
L’Austria condivise le proposte
britanniche perché voleva rafforzare i suoi domini in Italia e nei Balcani, e
perché voleva costituire una nuova Confederazione Germanica sotto la presidenza
austriaca.
·
La
Prussia era consapevole della sua
debolezza rispetto alle altre potenze vincitrici e per questo sosteneva la
necessità di rafforzare gli Stati confinanti con la Francia.
·
La
Russia voleva estendere la propria
influenza verso Occidente.
·
La
Francia cercò di sfruttare i
contrasti tra i vincitori per tornare a occupare un ruolo internazionale di
prestigio. Il suo obiettivo era quello di limitare l’espansione della Prussia,
della Russia e dell’Austria, appoggiando il progetto di equilibrio
dell’Inghilterra.
Equilibrio e legittimità
Per
riordinare l’Europa si vennero a creare due principi:
·
Il
principio di equilibrio, già usato
nell’antico regime, che affermava che bisognava garantire l’equilibrio tra gli
Stati per evitare che uno prevalesse su tutti.
·
Il
principio di legittimità, che venne
introdotto per difendere l’integrità territoriale francese sotto la dinastia
dei Borboni.
Questi
due principi, quindi, nacquero dalla pratica diplomatica e vennero usati come
criteri guida, ma senza nessuna ambizione di coerenza.
Una nuova carta dell’Europa
Con
il Congresso di Vienna vennero definite importanti sistemazioni territoriali e
nacque una nuova carta dell’Europa.
·
La
Francia prese in pratica tutte le
conquiste fatte con la rivoluzione e vi ritornò la dinastia dei Borbone con
Luigi XVIII.
·
Per
evitare l’ulteriore espansione francese, gli Stati confinanti furono rafforzati
creando una sorta di “cintura di sicurezza”:
o l’Olanda con il Belgio formò il Regno dei Paesi Bassi;
o la Prussia acquisì nuovi territori tedeschi ma perse la Polonia, ad
eccezione di due regioni;
o il Regno di Sardegna si unì alla Repubblica di Genova aumentando così
il proprio territorio e ritornò alla dinastia dei Savoia con Vittorio Emanuele
I.
·
Il
Sacro Romano Impero della nazione germanica non venne ricostruito e al suo
posto sorse la Confederazione Germanica,
comprendente 39 Stati.
·
La
Russia ottenne tre quarti della Polonia,
la Finlandia e la Bessarabia.
·
Sul
trono austriaco c’era Francesco I imperatore d’Austria. L’Austria compensò la perdita del Belgio con la conquista di nuovi
territori nei Balcani e nella penisola italica:
o in maniera diretta su Trentino,
Venezia-Giulia, Trieste, Istria e Dalmazia, governati da un viceré nel Lombardo-Veneto.
o in maniera indiretta sul Ducato
di Parma, di Lucca, Modena e del Granducato di Toscana.
·
Il
vecchio Regno di Napoli venne riunito alla Sicilia e prese il nome di Regno delle due Sicilie, in cui tornò
Ferdinando IV di Borbone.
·
Il
Regno Unito accrebbe il proprio
impero coloniale sotto il re Giorgio III di Hannover.
·
Spagna e Portogallo tornarono alle monarchie dei Borboni e dei Braganza.
·
La
Svezia si unì con la Norvegia, tolta
al Regno di Danimarca che invece
acquisì due ducati.
·
I
territori dello Stato della Chiesa
tornarono sotto il dominio di papa Pio VII.
·
L’impero ottomano perse le isole ioniche.
La politica interna
Gli
effetti della Restaurazione furono avvertiti sia all’interno dei singoli Stati
e sia nelle relazioni internazionali:
·
In
Francia il ritorno all’ordine potè
realizzarsi solo attraverso una soluzione di compromesso: infatti, Luigi XVIII
tornò sul trono come monarca di diritto divino, ma accettò di concedere una
Carta Costituzionale e lasciò l’ordinamento amministrativo napoleonico.
·
In
Italia alcuni sovrani adottarono
soluzioni moderate, mentre altri distrussero completamente l’apparato
napoleonico.
·
Nell’Impero asburgico, la compresenza di
molti popoli diversi impose la repressione poliziesca di ogni rivendicazione
nazionale.
·
In
Prussia e in Russia, infine, la Restaurazione si espresse nel rifiuto di
qualsiasi cambiamento.
La politica estera
La
politica estera delle grandi potenze fu guidata dal principio d’intervento, secondo
il quale qualunque insurrezione rivoluzionaria, liberale o nazionale,
doveva erre immediatamente repressa. Per far valere questo principio venne
inaugurato un nuovo metodo di lavoro, basato su frequenti consultazioni (concerto europeo). Grazie a questo
metodo vennero stipulate tre alleanze:
·
Tra
Russia, Prussia e Austria venne istaurata la Santa Alleanza tra i sovrani della nazioni;
·
Tra
Gran Bretagna, Austria, Prussia e Russia venne istaurata la Quadruplice Alleanza per isolare la
Francia, perché principale nazione soggetta alla rinascita dello spirito
rivoluzionario;
·
Tra
Gran Bretagna, Austria, Prussia, Russia e Francia venne firmata la Quintuplice Alleanza, che rappresentò
il trionfo del principio di equilibrio.
L’idea di nazione
Un’idea astratta
Il
termine nazione è comparso per la
prima volta nell’età medievale. A quell’epoca, però, poteva indicare il luogo
di nascita, o i mestieri e le corporazioni di appartenenza. Solo nell’età
romantica ha assunto il significato attuale. All’inizio dell’Ottocento ha
cominciato ad indicare la collettività umana unita dalla coscienza dei suoi
membri di avere in comune origine, lingua, etnia, religione, economia,
territorio e destino storico.
Lo sviluppo delle idee della rivoluzione francese
L’idea
di nazione nell’Ottocento furono alimentati dai valori rivoluzionari di
uguaglianza, fraternità e libertà.
Uguaglianza – Secondo i Rivoluzionari
francesi il fondamento della sovranità era costituito dalla volontà del popolo,
cioè di tutti i cittadini in quanto uguali
tra loro. Nella Dichiarazione dei
diritti del cittadino si parla di volontà
generale della nazione. Secondo gli illuministi, un insieme di persone
diventa un popolo stipulando un contratto (contratto
sociale).
Fraternità – La rivoluzione francese e poi
le armate di Napoleone avevano diffuso in tutta Europa il principio illuminista
della fratellanza cosmopolita, cioè
una fratellanza basata sull’appartenenza di tutti gli uomini alla Terra. Ma ben
presto si comprese che quel principio nascondeva le pretese egemoniche della
Francia.
Libertà – La rivoluzione francese
proclamò i diritti del cittadino. Ma ben presto apparve chiaro che la libertà
non poteva essere solo individuale.
L’esigenza di mercati nazionali
L’affermazione
dello Stato nazionale venne favorita dalla rivoluzione industriale. La sua
diffusione, infatti, implicava l’esistenza di mercati sufficientemente vasti.
Pertanto l’idea di nazione bene si associava all’esigenza borghese di libera
imprenditorialità individuale.
L’influenza del romanticismo
Il
romanticismo valorizzò l’aspetto sentimentale ed emotivo dell’amore per la
patria e dell’identità nazionale. Secondo i romantici i popoli andavano
considerati come individui, cioè come esseri unici e irriducibili agli altri.
Allo stesso modo ogni nazione sarebbe stata davvero libera solo se avesse
sviluppato le proprie potenzialità, la lingua, la cultura. Il recupero di
questi aspetti rappresentò anche la salvaguardia dell’originale patrimonio
spirituale della nazione.
Nazione e Stato
Dal
punto di vista politico, una novità fondamentale dell’Ottocento fu il
sovrapporsi dell’idea di nazione allo Stato. Nell’antico regime lo Stato
coincideva con il monarca. Ora invece lo Stato diveniva nazione, cioè unità politica
di un popolo. La formazione di uno Stato non dipendeva solo dall’esistenza
di una coscienza nazionale. È sempre legata anche al concreto sviluppo dello
scontro politico e, solitamente, alla forza delle armi. Così attualmente gli Stati nazionali ospitano alcune
minoranze etniche.
I liberali
Il liberalismo
All’inizio
dell’Ottocento, tra gli avversari della Restaurazione si trovano già le grandi
ideologie che hanno animato il dibattito politico sino ai giorni nostri. La
prima fu il liberalismo che nacque
dalla battaglia contro l’antico regime condotta soprattutto nella rivoluzione
inglese. I fondamenti teorici di questa ideologia risalgono a Locke e agli illuministi, in
particolare a Montesquieu e a Smith. Il valore fondamentale del
liberalismo è la libertà individuale.
I liberali non credono che la libertà conduca al caos, anzi ritengono che sia
la condizione ideale per consentire a ognuno di ricercare la felicità.
I cattolici liberali
Il
valore della libertà fu riconosciuto anche dai cattolici liberali, una tendenza che indicò gli ideali della
rivoluzione francese compatibili con il messaggio cristiano. Secondo i
cattolici liberali, la Chiesa doveva accettare la sfida della modernità,
adeguando la perennità dei principi della fede cristiana al modificarsi dei
tempi. Il cattolicesimo liberale nacque in Francia
ed ebbe il suo principale rappresentante nel sacerdote Félicité de La Mennais. Dalla Francia, il cattolicesimo liberale si
diffuse in tutta Europa. Restò comunque minoritario nella Chiesa, che fu
denominata dalla posizione dei cosiddetti intransigenti,
favorevoli al conservatorismo tradizionalista.
Lo Stato ideale
Il
modello di Stato proposto dai liberali può essere così schematizzato:
·
Il potere dello Stato è limitato: l’obiettivo principale dei
liberalo è respingere l’assolutismo, porre dei limiti al potere. La Costituzione costituisce la conquista
liberale per eccellenza. Un altro fondamentale garanzia contro i rischi di
dispotismo è rappresentata dalla divisione
dei poteri, che devono essere controllati da soggetti o istituzioni diversi
e controbilanciarsi.
·
Lo Stato garantisce le libertà
pubbliche: la
libertà di opinione, d’espressione, di riunione e di stampa, la libertà
d’insegnamento contro il monopolio della Chiesa, la libertà di iniziativa
economica sono queste le principali libertà che uno Stato deve garantire.
·
Lo Stato non interviene sulla
diseguaglianza sociale: lo
stato non deve intervenire nella vita economia, non deve cercare di attenuare
il contrasto tra ricchi e poveri. Quindi deve essere neutrale.
·
Il suffragio non è universale: secondo i liberali, il voto non è
un diritto ma è solo lo strumento attraverso cui si svolge una funzione
pubblica. Il diritto di voto va riconosciuto solo a chi raggiunge un certo
livello di ricchezza (suffragio
censitario).
I democratici
Il pensiero democratico
Il
termine democrazia significa governo di popolo. La democrazia,
quindi, è il regime fondato sulla sovranità popolare. Il padre della democrazia
moderna fu Rousseau. Tuttavia
l’elaborazione di questa dottrina ricevette uno straordinario impulso da un
gruppo di filosofi inglesi. La democrazia moderna è rappresentativa o parlamentare,
non più diretta o assembleare. La critica fondamentale
che i democratici rivolsero ai liberali fu quella sul diritto di voto: i
democratici, infatti, affermavano che vi doveva essere un’uguaglianza politica, in cui tutti devono godere dei diritti
politici e del diritto di voto.
Lo Stato democratico
Secondo
i democratici, lo Stato deve essere fondato sul suffragio universale perché solo così sarà rappresentativo della
volontà del popolo. Tutti i cittadini pertanto deve ricevere una necessaria istruzione per esercitare i loro
diritti politici. Inoltre, lo Stato democratico deve cercare di moderare le ingiustizie sociali, imponendo
tasse in proporzione ai redditi.
I socialisti
Le origini del socialismo
Liberali
e democratici avevano proposto un’analisi che riguardava essenzialmente
l’organizzazione dello Stato e i diritti dei cittadini, cioè la politica. Il problema più appariscente,
però, fu costituito dalle condizioni miserabili e inumane in cui viveva la
maggioranza della popolazione: la cosiddetta questione sociale. I socialisti
propongono l’ideale di una società fondata sulla giustizia sociale, cioè su una distribuzione della ricchezza che
non condannasse nessuno alla povertà e allo sfruttamento. Per raggiungere
questo obiettivo vennero elaborate strategie diverse, tuttavia in genere i
socialisti:
·
misero
in discussione il diritto di proprietà, proponendone
l’abolizione o almeno la limitazione;
·
criticarono
l’individualismo liberale,
contrapponendogli il valore della solidarietà
che doveva unire tutti i lavoratori.
Il socialismo inglese
La
caratteristica specifica del socialismo inglese fu il riformismo. I socialisti inglesi, infatti, accettarono gli aspetti
fondamentali dell’economia di mercato, ma rivendicarono riforme radicali per
attenuarne le conseguenze sociali. Questa scelta fu notevolmente influenzata
dal pensiero e dall’opera di Robert Owen,
che condivideva con Smith l’idea che l’origine della ricchezza fosse costituita
dal lavoro. Pertanto riteneva che dovesse essere limitato l’aumento del prezzo
delle merci che si verificava nella fase della distribuzione, cioè del
commercio. Si trattava di tornare all’equità del baratto, quando le merci
venivano scambiate direttamente dai lavoratori che le avevano prodotte.
Il socialismo francese
In
Francia, la questione sociale venne alla ribalta quando con il decollo della
rivoluzione industriale ebbero inizio le prime rivolte operaie. L’elaborazione
teorica si richiamò a Rousseau e
alle aspirazioni egualitarie della rivoluzione
dell’89. Le dottrine socialiste così si presentarono spesso come vere e
proprie utopie. I principali esponenti del socialismo francese furono:
·
Claude-Henri conte di Saint-Simon, che riteneva che la società
fosse organizzata in modo contraddittorio. La società doveva essere
riorganizzata assegnando il governo a tecnici,
chiamati a realizzare una generale armonia sociale.
·
Louis Blanc che individuò nella proprietà
privata e nella concorrenza le due cause principali della miseria degli operai.
Come rimedio proponeva la costituzione di fabbriche sociali, cioè di fabbriche
gestite dagli operai stessi che avrebbero soppiantato le fabbriche sociali.
Nella
Francia degli anni Trenta ebbe inizio anche la storia del movimento cattolico sociale.
Particolare rilievo ebbe l’opera di Frédéric
Ozanam, che sosteneva che solo la collaborazione tra padroni e operai,
secondo i dettami della fede cristiana, poteva permettere il superamento della
grave crisi che si preparava.
Marx ed Engels
L’elaborazione
della dottrina socialista giunse al risultato più maturo con l’opera di due
filosofi tedeschi: Karl Marx e Friedrich Engels. Engels indusse Marx
ad approfondire gli studi di economia. Nella capitale inglese, Marx si trovò in
gravi condizioni economiche ma anche grazie al sostegno economico di Engels
procedette nell’analisi del sistema capitalistico. Nel 1867pubblicò il primo
libro della sua opera principale, Il Capitale.
Il socialismo scientifico
Marx
ed Engels scrissero il Manifesto del
Partito Comunista, in cui proposero una nuova interpretazione del
socialismo che rifiutava l’utopismo, che aveva caratterizzato molte delle
posizioni precedenti. Secondo Marx e Engels, infatti, il socialismo non è un ideale che gli uomini devono realizzare. Credere
di poter cambiare la società con un’idea o con delle leggi è un’illusione. In
proposito sostengono la dottrina del materialismo
storico secondo cui non sono le idee degli uomini a determinare il tipo di
società in cui vivono, piuttosto è la società a determinare le loro idee. La struttura di una società è la sua
organizzazione economica; a questa deriva la sovrastruttura, rappresentata dalla cultura, dalla politica, dalle
leggi, dallo Stato, … Secondo Marx ed Engels, il filosofo deve spiegare scientificamente il presente e
comprendere il senso della storia. Proprio per questo pretendevano di aver
fondato il socialismo scientifico.
La lotta di classe
Secondo Marx ed Engels,
la storia della civiltà umana è passata attraverso quattro fasi: la comunità
primitiva, il regime di schiavitù, la società feudale e la società
capitalistico-borghese. Tutte queste fasi sono caratterizzate dallo scontro tra
oppressi e oppressori, cui gli uomini partecipano non come individui ma in
quanto parte di una classe: tutta la storia, dunque, è storia della lotta di classe. La borghesia, per esempio, ha svolto un ruolo rivoluzionario nell’età
feudale. Ma ora che con la società capitalista ha imposto il suo dominio, si
trova ad affrontare il proletariato,
cui spetta il compito storico di rovesciarla. Nella società capitalista il
proletario è sfruttato dai borghesi che detengono la proprietà dei mezzi di produzione. Il salario che viene
corrisposto, infatti, non corrisponde alla ricchezza che crea con il proprio
lavoro, ma solo a quanto gli è indispensabile per sopravvivere; questa
differenza è chiamata da Marx plusvalore
e rappresenta il profitto del capitalismo. L’operaio non è privato solo dei
frutti del suo lavoro ma anche della sua identità: questa alienazione è originata dal fatto che l’operaio nella società
capitalista è considerato come una merce, è uno strumento della valorizzazione
del capitale. Marx ed Engels ritengono che la storia affidi al proletario il
compito di liberare l’intera umanità. La storia così giungerà al comunismo, cioè una dottrina in cui non
esiste proprietà. Ciò sarà possibile solo al prezzo di una rivoluzione, necessariamente violenta
poiché dovrà sconfiggere la resistenza dei borghesi.
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