mercoledì 10 agosto 2016

Restaurazione e opposizione


Il Congresso di Vienna

La Restaurazione e l’eredità napoleonica
Sconfitto Napoleone a Lipsia, le grandi potenze (Austria, Inghilterra, Prussia e Russia) volevano restaurare il vecchio sistema politico esistente prima della rivoluzione. Con il termine età della Restaurazione si vuole indicare il periodo che va dal 1815 al 1830. Tuttavia, ritornare a quel regime precedente era impossibile, perché la Rivoluzione francese aveva portato notevoli modifiche:
·         sul piano sociale aveva posto fine ai diritti feudali;
·         sul piano politico aveva abbattuto la monarchia assoluta, introdotto la monarchia costituzionale, la repubblica e la dittatura plebiscitaria di Napoleone;
·         sul piano ideologico aveva suscitato nuovi ideali come quelli di patria e di nazione;
·         sul piano militare aveva rinnovato l’esercito.
Napoleone, poi, aveva scardinato equilibri consolidati da secoli, modificando i confini fra gli Stati, eliminando il Sacro Romano Impero e introducendo un moderno Codice Civile.
Una “macchina diplomatica”
Bisognava quindi trovare delle nuove soluzioni che, però, tenessero conto della trasformazioni irreversibili introdotte dalla rivoluzione. Per questo enne convocato il Congresso di Vienna (novembre 1814-giugno 1815), a cui parteciparono 216 delegazioni. Il Congresso di Vienna giunse alla sua normale conclusione prima ancora della definitiva disfatta napoleonica a Waterloo. Le principali decisioni furono prese dai ministri degli Esteri di Gran Bretagna, Austria, Prussia e Russia.
I contrasti tra le potenze
Dopo la sconfitta di Napoleone, gli stati vincitori volevano aumentare la loro potenza. Fu proprio per questo che non si potè ricostruire l’antico regime: infatti, era necessario costruire un nuovo ordine internazionale, nel quale si ricomponessero le aspirazioni delle grandi potenze:
·         La Gran Bretagna mirava ad un equilibrio tra i paesi dell’Europa continentale, perché l’Inghilterra voleva ampliare il proprio impero coloniale.
·         L’Austria condivise le proposte britanniche perché voleva rafforzare i suoi domini in Italia e nei Balcani, e perché voleva costituire una nuova Confederazione Germanica sotto la presidenza austriaca.
·         La Prussia era consapevole della sua debolezza rispetto alle altre potenze vincitrici e per questo sosteneva la necessità di rafforzare gli Stati confinanti con la Francia.
·         La Russia voleva estendere la propria influenza verso Occidente.
·         La Francia cercò di sfruttare i contrasti tra i vincitori per tornare a occupare un ruolo internazionale di prestigio. Il suo obiettivo era quello di limitare l’espansione della Prussia, della Russia e dell’Austria, appoggiando il progetto di equilibrio dell’Inghilterra.
Equilibrio e legittimità
Per riordinare l’Europa si vennero a creare due principi:
·         Il principio di equilibrio, già usato nell’antico regime, che affermava che bisognava garantire l’equilibrio tra gli Stati per evitare che uno prevalesse su tutti.
·         Il principio di legittimità, che venne introdotto per difendere l’integrità territoriale francese sotto la dinastia dei Borboni.
Questi due principi, quindi, nacquero dalla pratica diplomatica e vennero usati come criteri guida, ma senza nessuna ambizione di coerenza.  
Una nuova carta dell’Europa
Con il Congresso di Vienna vennero definite importanti sistemazioni territoriali e nacque una nuova carta dell’Europa.
·         La Francia prese in pratica tutte le conquiste fatte con la rivoluzione e vi ritornò la dinastia dei Borbone con Luigi XVIII.
·         Per evitare l’ulteriore espansione francese, gli Stati confinanti furono rafforzati creando una sorta di “cintura di sicurezza”:
o   l’Olanda con il Belgio formò il Regno dei Paesi Bassi;
o   la Prussia acquisì nuovi territori tedeschi ma perse la Polonia, ad eccezione di due regioni;
o   il Regno di Sardegna si unì alla Repubblica di Genova aumentando così il proprio territorio e ritornò alla dinastia dei Savoia con Vittorio Emanuele I.
·         Il Sacro Romano Impero della nazione germanica non venne ricostruito e al suo posto sorse la Confederazione Germanica, comprendente 39 Stati.
·         La Russia ottenne tre quarti della Polonia, la Finlandia e la Bessarabia.
·         Sul trono austriaco c’era Francesco I imperatore d’Austria. L’Austria compensò la perdita del Belgio con la conquista di nuovi territori nei Balcani e nella penisola italica:
o   in maniera diretta su Trentino, Venezia-Giulia, Trieste, Istria e Dalmazia, governati da un viceré nel Lombardo-Veneto.
o   in maniera indiretta sul Ducato di Parma, di Lucca, Modena e del Granducato di Toscana.
·         Il vecchio Regno di Napoli venne riunito alla Sicilia e prese il nome di Regno delle due Sicilie, in cui tornò Ferdinando IV di Borbone.
·         Il Regno Unito accrebbe il proprio impero coloniale sotto il re Giorgio III di Hannover.
·         Spagna e Portogallo tornarono alle monarchie dei Borboni e dei Braganza.
·         La Svezia si unì con la Norvegia, tolta al Regno di Danimarca che invece acquisì due ducati.
·         I territori dello Stato della Chiesa tornarono sotto il dominio di papa Pio VII.
·         L’impero ottomano perse le isole ioniche.
La politica interna
Gli effetti della Restaurazione furono avvertiti sia all’interno dei singoli Stati e sia nelle relazioni internazionali:
·         In Francia il ritorno all’ordine potè realizzarsi solo attraverso una soluzione di compromesso: infatti, Luigi XVIII tornò sul trono come monarca di diritto divino, ma accettò di concedere una Carta Costituzionale e lasciò l’ordinamento amministrativo napoleonico.
·         In Italia alcuni sovrani adottarono soluzioni moderate, mentre altri distrussero completamente l’apparato napoleonico.
·         Nell’Impero asburgico, la compresenza di molti popoli diversi impose la repressione poliziesca di ogni rivendicazione nazionale.
·         In Prussia e in Russia, infine, la Restaurazione si espresse nel rifiuto di qualsiasi cambiamento.
La politica estera
La politica estera delle grandi potenze fu guidata dal principio d’intervento, secondo  il quale qualunque insurrezione rivoluzionaria, liberale o nazionale, doveva erre immediatamente repressa. Per far valere questo principio venne inaugurato un nuovo metodo di lavoro, basato su frequenti consultazioni (concerto europeo). Grazie a questo metodo vennero stipulate tre alleanze:
·         Tra Russia, Prussia e Austria venne istaurata la Santa Alleanza tra i sovrani della nazioni;
·         Tra Gran Bretagna, Austria, Prussia e Russia venne istaurata la Quadruplice Alleanza per isolare la Francia, perché principale nazione soggetta alla rinascita dello spirito rivoluzionario;
·         Tra Gran Bretagna, Austria, Prussia, Russia e Francia venne firmata la Quintuplice Alleanza, che rappresentò il trionfo del principio di equilibrio.

L’idea di nazione

Un’idea astratta
Il termine nazione è comparso per la prima volta nell’età medievale. A quell’epoca, però, poteva indicare il luogo di nascita, o i mestieri e le corporazioni di appartenenza. Solo nell’età romantica ha assunto il significato attuale. All’inizio dell’Ottocento ha cominciato ad indicare la collettività umana unita dalla coscienza dei suoi membri di avere in comune origine, lingua, etnia, religione, economia, territorio e destino storico.
Lo sviluppo delle idee della rivoluzione francese
L’idea di nazione nell’Ottocento furono alimentati dai valori rivoluzionari di uguaglianza, fraternità e libertà.
Uguaglianza – Secondo i Rivoluzionari francesi il fondamento della sovranità era costituito dalla volontà del popolo, cioè di tutti i cittadini in quanto uguali tra loro. Nella Dichiarazione dei diritti del cittadino si parla di volontà generale della nazione. Secondo gli illuministi, un insieme di persone diventa un popolo stipulando un contratto (contratto sociale).
Fraternità – La rivoluzione francese e poi le armate di Napoleone avevano diffuso in tutta Europa il principio illuminista della fratellanza cosmopolita, cioè una fratellanza basata sull’appartenenza di tutti gli uomini alla Terra. Ma ben presto si comprese che quel principio nascondeva le pretese egemoniche della Francia.
Libertà – La rivoluzione francese proclamò i diritti del cittadino. Ma ben presto apparve chiaro che la libertà non poteva essere solo individuale.
L’esigenza di mercati nazionali
L’affermazione dello Stato nazionale venne favorita dalla rivoluzione industriale. La sua diffusione, infatti, implicava l’esistenza di mercati sufficientemente vasti. Pertanto l’idea di nazione bene si associava all’esigenza borghese di libera imprenditorialità individuale.
L’influenza del romanticismo
Il romanticismo valorizzò l’aspetto sentimentale ed emotivo dell’amore per la patria e dell’identità nazionale. Secondo i romantici i popoli andavano considerati come individui, cioè come esseri unici e irriducibili agli altri. Allo stesso modo ogni nazione sarebbe stata davvero libera solo se avesse sviluppato le proprie potenzialità, la lingua, la cultura. Il recupero di questi aspetti rappresentò anche la salvaguardia dell’originale patrimonio spirituale della nazione.
Nazione e Stato
Dal punto di vista politico, una novità fondamentale dell’Ottocento fu il sovrapporsi dell’idea di nazione allo Stato. Nell’antico regime lo Stato coincideva con il monarca. Ora invece lo Stato diveniva nazione, cioè unità politica di un popolo. La formazione di uno Stato non dipendeva solo dall’esistenza di una coscienza nazionale. È sempre legata anche al concreto sviluppo dello scontro politico e, solitamente, alla forza delle armi. Così attualmente gli Stati nazionali ospitano alcune minoranze etniche.

I liberali

Il liberalismo
All’inizio dell’Ottocento, tra gli avversari della Restaurazione si trovano già le grandi ideologie che hanno animato il dibattito politico sino ai giorni nostri. La prima fu il liberalismo che nacque dalla battaglia contro l’antico regime condotta soprattutto nella rivoluzione inglese. I fondamenti teorici di questa ideologia risalgono a Locke e agli illuministi, in particolare a Montesquieu e a Smith. Il valore fondamentale del liberalismo è la libertà individuale. I liberali non credono che la libertà conduca al caos, anzi ritengono che sia la condizione ideale per consentire a ognuno di ricercare la felicità.
I cattolici liberali
Il valore della libertà fu riconosciuto anche dai cattolici liberali, una tendenza che indicò gli ideali della rivoluzione francese compatibili con il messaggio cristiano. Secondo i cattolici liberali, la Chiesa doveva accettare la sfida della modernità, adeguando la perennità dei principi della fede cristiana al modificarsi dei tempi. Il cattolicesimo liberale nacque in Francia ed ebbe il suo principale rappresentante nel sacerdote Félicité de La Mennais. Dalla Francia, il cattolicesimo liberale si diffuse in tutta Europa. Restò comunque minoritario nella Chiesa, che fu denominata dalla posizione dei cosiddetti intransigenti, favorevoli al conservatorismo tradizionalista.
Lo Stato ideale
Il modello di Stato proposto dai liberali può essere così schematizzato:
·         Il potere dello Stato è limitato: l’obiettivo principale dei liberalo è respingere l’assolutismo, porre dei limiti al potere. La Costituzione costituisce la conquista liberale per eccellenza. Un altro fondamentale garanzia contro i rischi di dispotismo è rappresentata dalla divisione dei poteri, che devono essere controllati da soggetti o istituzioni diversi e controbilanciarsi.
·         Lo Stato garantisce le libertà pubbliche: la libertà di opinione, d’espressione, di riunione e di stampa, la libertà d’insegnamento contro il monopolio della Chiesa, la libertà di iniziativa economica sono queste le principali libertà che uno Stato deve garantire.
·         Lo Stato non interviene sulla diseguaglianza sociale: lo stato non deve intervenire nella vita economia, non deve cercare di attenuare il contrasto tra ricchi e poveri. Quindi deve essere neutrale.
·         Il suffragio non è universale: secondo i liberali, il voto non è un diritto ma è solo lo strumento attraverso cui si svolge una funzione pubblica. Il diritto di voto va riconosciuto solo a chi raggiunge un certo livello di ricchezza (suffragio censitario).

I democratici

Il pensiero democratico
Il termine democrazia significa governo di popolo. La democrazia, quindi, è il regime fondato sulla sovranità popolare. Il padre della democrazia moderna fu Rousseau. Tuttavia l’elaborazione di questa dottrina ricevette uno straordinario impulso da un gruppo di filosofi inglesi. La democrazia moderna è rappresentativa o parlamentare, non più diretta o assembleare. La critica fondamentale che i democratici rivolsero ai liberali fu quella sul diritto di voto: i democratici, infatti, affermavano che vi doveva essere un’uguaglianza politica, in cui tutti devono godere dei diritti politici e del diritto di voto.
Lo Stato democratico
Secondo i democratici, lo Stato deve essere fondato sul suffragio universale perché solo così sarà rappresentativo della volontà del popolo. Tutti i cittadini pertanto deve ricevere una necessaria istruzione per esercitare i loro diritti politici. Inoltre, lo Stato democratico deve cercare di moderare le ingiustizie sociali, imponendo tasse in proporzione ai redditi. 

I socialisti

Le origini del socialismo
Liberali e democratici avevano proposto un’analisi che riguardava essenzialmente l’organizzazione dello Stato e i diritti dei cittadini, cioè la politica. Il problema più appariscente, però, fu costituito dalle condizioni miserabili e inumane in cui viveva la maggioranza della popolazione: la cosiddetta questione sociale. I socialisti propongono l’ideale di una società fondata sulla giustizia sociale, cioè su una distribuzione della ricchezza che non condannasse nessuno alla povertà e allo sfruttamento. Per raggiungere questo obiettivo vennero elaborate strategie diverse, tuttavia in genere i socialisti:
·         misero in discussione il diritto di proprietà, proponendone l’abolizione o almeno la limitazione;
·         criticarono l’individualismo liberale, contrapponendogli il valore della solidarietà che doveva unire tutti i lavoratori.
Il socialismo inglese
La caratteristica specifica del socialismo inglese fu il riformismo. I socialisti inglesi, infatti, accettarono gli aspetti fondamentali dell’economia di mercato, ma rivendicarono riforme radicali per attenuarne le conseguenze sociali. Questa scelta fu notevolmente influenzata dal pensiero e dall’opera di Robert Owen, che condivideva con Smith l’idea che l’origine della ricchezza fosse costituita dal lavoro. Pertanto riteneva che dovesse essere limitato l’aumento del prezzo delle merci che si verificava nella fase della distribuzione, cioè del commercio. Si trattava di tornare all’equità del baratto, quando le merci venivano scambiate direttamente dai lavoratori che le avevano prodotte.
Il socialismo francese
In Francia, la questione sociale venne alla ribalta quando con il decollo della rivoluzione industriale ebbero inizio le prime rivolte operaie. L’elaborazione teorica si richiamò a Rousseau e alle aspirazioni egualitarie della rivoluzione dell’89. Le dottrine socialiste così si presentarono spesso come vere e proprie utopie. I principali esponenti del socialismo francese furono:
·         Claude-Henri conte di Saint-Simon, che riteneva che la società fosse organizzata in modo contraddittorio. La società doveva essere riorganizzata assegnando il governo a tecnici, chiamati a realizzare una generale armonia sociale.
·         Louis Blanc che individuò nella proprietà privata e nella concorrenza le due cause principali della miseria degli operai. Come rimedio proponeva la costituzione di fabbriche sociali, cioè di fabbriche gestite dagli operai stessi che avrebbero soppiantato le fabbriche sociali.
Nella Francia degli anni Trenta ebbe inizio anche la storia del movimento cattolico sociale.  Particolare rilievo ebbe l’opera di Frédéric Ozanam, che sosteneva che solo la collaborazione tra padroni e operai, secondo i dettami della fede cristiana, poteva permettere il superamento della grave crisi che si preparava.
Marx ed Engels
L’elaborazione della dottrina socialista giunse al risultato più maturo con l’opera di due filosofi tedeschi: Karl Marx e Friedrich Engels. Engels indusse Marx ad approfondire gli studi di economia. Nella capitale inglese, Marx si trovò in gravi condizioni economiche ma anche grazie al sostegno economico di Engels procedette nell’analisi del sistema capitalistico. Nel 1867pubblicò il primo libro della sua opera principale, Il Capitale.
Il socialismo scientifico
Marx ed Engels scrissero il Manifesto del Partito Comunista, in cui proposero una nuova interpretazione del socialismo che rifiutava l’utopismo, che aveva caratterizzato molte delle posizioni precedenti. Secondo Marx e Engels, infatti, il socialismo non è un ideale che gli uomini devono realizzare. Credere di poter cambiare la società con un’idea o con delle leggi è un’illusione. In proposito sostengono la dottrina del materialismo storico secondo cui non sono le idee degli uomini a determinare il tipo di società in cui vivono, piuttosto è la società a determinare le loro idee. La struttura di una società è la sua organizzazione economica; a questa deriva la sovrastruttura, rappresentata dalla cultura, dalla politica, dalle leggi, dallo Stato, … Secondo Marx ed Engels, il filosofo deve spiegare scientificamente il presente e comprendere il senso della storia. Proprio per questo pretendevano di aver fondato il socialismo scientifico
La lotta di classe
Secondo Marx ed Engels, la storia della civiltà umana è passata attraverso quattro fasi: la comunità primitiva, il regime di schiavitù, la società feudale e la società capitalistico-borghese. Tutte queste fasi sono caratterizzate dallo scontro tra oppressi e oppressori, cui gli uomini partecipano non come individui ma in quanto parte di una classe: tutta la storia, dunque, è storia della lotta di classe. La borghesia, per esempio, ha svolto un ruolo rivoluzionario nell’età feudale. Ma ora che con la società capitalista ha imposto il suo dominio, si trova ad affrontare il proletariato, cui spetta il compito storico di rovesciarla. Nella società capitalista il proletario è sfruttato dai borghesi che detengono la proprietà dei mezzi di produzione. Il salario che viene corrisposto, infatti, non corrisponde alla ricchezza che crea con il proprio lavoro, ma solo a quanto gli è indispensabile per sopravvivere; questa differenza è chiamata da Marx plusvalore e rappresenta il profitto del capitalismo. L’operaio non è privato solo dei frutti del suo lavoro ma anche della sua identità: questa alienazione è originata dal fatto che l’operaio nella società capitalista è considerato come una merce, è uno strumento della valorizzazione del capitale. Marx ed Engels ritengono che la storia affidi al proletario il compito di liberare l’intera umanità. La storia così giungerà al comunismo, cioè una dottrina in cui non esiste proprietà. Ciò sarà possibile solo al prezzo di una rivoluzione, necessariamente violenta poiché dovrà sconfiggere la resistenza dei borghesi. 

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