mercoledì 10 agosto 2016

Spinoza e Hobbes


SPINOZA



Baruch Spinoza nacque ad Amsterdam nel 1632 da una famiglia ebraica che, per questo, fu costretta ad abbandonare la Spagna. Fu educato nella comunità israelita di Amsterdam, ma nel 1656 venne scomunicato ed espulse per aver praticato ed insegnato eresie. Prima di affermarsi come filosofo, riuscì ad affermarsi come ottico per aver appreso l’arte di fabbricare e pulire lenti per strumenti ottici. Le sue principali opere sono: Principi di filosofia cartesiana. Pensieri metafisici in cui evidenzia le proprie differenze rispetto a Cartesio; Trattato teologico-politico in cui propugnava la libertà di parola e di pensiero, e appunto per questo fu subito condannato dalla Chiesa protestante e Cattolica che ne impedirono la pubblicazione; Ethica ordine geometrico demonstrata; e infine il Breve trattato su Dio, l’uomo e la sua felicità. Spinoza morì a soli 44 anni nel 1677.

Le fonti e il “carattere del sistema”

La tesi principale del pensiero di Spinoza è l’identificazione panteistica di Dio con la Natura. Alla base del suo pensiero si hanno diverse fonti: innanzitutto la teologia giudaico-cristiana, poi la filosofia neoplatonica-naturalistica del Rinascimento e infine il razionalismo cartesiano. A queste, però, va aggiunta anche la rivoluzione scientifica avvenuta che permette di comprendere meglio il pensiero di questo filosofo. La caratteristica di base del pensiero di Spinoza è la sintesi che esso realizza fra la tradizionale visione metafisico-teologica del mondo e gli esisti della nuova scienza.

La filosofia come catarsi esistenziale e intellettuale

Per Spinoza la filosofia non è altro che la via verso la saggezza e la beatitudine. Infatti l’obiettivo principale dello spinozismo è la ricerca di un bene vero. Analizzando i beni universalmente voluti dagli uomini (ricchezza, onori e piaceri) Spinoza fa comprendere come questi siano in realtà vani, se usati come fini (e non come mezzi), in quanto non appagano, sono transeunti e generano le inquietudini. Nonostante ciò l’obiettivo di Spinoza non è quello di eliminare questi beni, cosa che comunque sarebbe inutile, ma bensì di riconoscere l’esistenza di qualcosa di più alto. Il modello di bene che Spinoza ipotizza deve soddisfare a pieno l’animo, procurando l’agognata serenità e la letizia. L’unico bene capace di fare ciò è meta-temporale e meta-finito: l’amore per la cosa eterna ed infinita riempie l’animo di pura letizia. Tuttavia, mentre per i filosofi cristiani la “cosa eterna ed infinita” è Dio, per Spinoza l’infinito e l’eterno sono rispettivamente il cosmo (panteismo, Dio presente in tutte le cose) e la gioia suprema con l’unione della mente con la natura.   

La metafisica
Il metodo geometrico
Il metodo seguito da Spinoza è di tipo geometrico: il filosofo si serve infatti di un procedimento espositivo che si scandisce secondo proposizioni (cioè secondo affermazioni che possono essere vere o false e che non hanno bisogno di una dimostrazione). Spinoza decide di utilizzare questo metodo per diversi motivi: innanzitutto perché era influenzato dalla moda matematizzante dell’epoca, poi credeva che la matematica era garanzia di precisione e, infine, era convinto che il reale costituisce una struttura necessaria di tipo geometrico.  
Il concetto di sostanza
Il concetto fondamentale da cui Spinoza parte per dedurre tutto il sistema del sapere metafisico è quello di sostanza, con cui intende, a differenza di Cartesio, sia la forma (res extensa) cioè l’essenza di una cosa, sia il sinolo (res cogitans) cioè l’individuo concreto esistente in cui essa è incarnata. Cartesio aveva identificato questa Sostanza con Dio, ma accanto a questa convinzione lui aveva messo anche i concetti di res extensa e res cogitans, intese come le due realtà che per esistere hanno bisogno di Dio. Invece Spinoza, per sostanza intende un concetto che non ha bisogno di altro per esistere.
Le proprietà della sostanza e la sua unicità
Questa sostanza è caratterizzata da proprietà: è increata, in quanto non ha bisogno di altro per esistere; è eterna, perché possiede l’esistenza; è unica; è infinita, perché se fosse finita, dovrebbe essere limitata da un’altra natura. Questa sostanza non può essere che Dio, ovvero un essere assolutamente infinito che garantisce la verità evidente. Dell’esistenza di Dio Spinoza accetta le due prove tradizionali:
·         Prova ontologica (o a priori), secondo la quale non c’è bisogno dell’esperienza in quanto Dio è già perfezione;
·         Prova a posteriori, secondo la quale bisogna tener conto dell’esperienza fatto da qualcun altro.
Spinoza affermando che Dio corrisponde con la Sostanza, perviene a una forma di panteismo che considera la Natura come una realtà increata, eterna, infinita e unica.
Attributi e modi
Per chiarire il legame che c’è tra Dio e il mondo, Spinoza utilizza i concetti di “attributi” e “modi”. Gli attributi sono ciò che l’intelletto percepisce della sostanza come costituente la sua essenza, vale a dire le qualità essenziali della Sostanza. Dal momento che quest’ultima è infinta, saranno infiniti anche i suoi attributi. Tuttavia, degli infiniti attributi della Sostanza l’uomo ne conosce solo due: l’estensione e il pensiero, ovvero la materia e la coscienza. I modi sono invece le affezioni della sostanza, ossia ciò che rende la Sostanza tale. Quindi i modi non sono altro che le concretizzazioni particolari degli attributi. Spinoza distingue due tipi di modi: infiniti, che sono proprietà strutturali degli attributi stessi; e finiti, sono invece gli esseri particolari.
Natura naturante e Natura naturata: Dio come causa del mondo
Spinoza fa una distinzione tra Natura naturante (cioè Dio e i suoi attributi, considerati come causa) e la Natura naturata (cioè l’insieme dei modi, visti come effetto). Quando Spinoza afferma che Dio deve essere detto causa di tutte le cose, parla di casualità immanente, cioè del fatto che Dio non “crea” qualcosa diverso da sé, ma piuttosto si esprime in infiniti modi determinati. 
I due problemi fondamentali dello spinozismo
I due problemi fondamentali dello spinozismo sono quelli di capire che cosa sia effettivamente la Sostanza di Spinoza e che rapporti esistano tra la Sostanza e i suoi modi. Parlando della Sostanza o di Dio, Spinoza intende l’ordinamento complessivo dell’essere e la struttura geometrica del cosmo. Quindi, in Spinoza il panteismo (cioè Dio è in tutto) e il panenteismo (tutto è in Dio) costituiscono due fondamenti della sua filosofia. Per quanto riguarda il problema, invece, tra la Sostanza e i modi, Spinoza scarta due modelli tradizionali:
  • Esclude la dottrina della creazione, perché: tale dottrina riduce il modo d’agire della Sostanza al modo d’agire dell’uomo; il concetto biblico di “creazione” implica quello di “nulla”, che è impensabile; infine, Dio produce un effetto dal nulla.
  • Esclude la dottrina dell’emanazione.
Nell’universo spinoziano non vi è nulla di contingente, poiché in esso ciò che è possibile si realizza necessariamente per cui possibilità e realtà sono nient’altro che necessità in potenza e necessità in atto.

L’etica

L’analisi “geometrica” dell’uomo
Spinoza costituisce una vera e propria geometria delle emozioni, proponendosi di: individuare le leggi e le forze che reggono la condotta pratica degli individui; ricondurre la “schiavitù” dell’uomo alla “potenza delle passioni” e la sua “libertà” alla “potenza dell’intelletto”.
Gli affetti “primari”
Quelle che noi chiamiamo “emozioni”, Spinoza parla di affetti, cioè le affezioni del Corpo. Il filosofo poi distingue gli affetti in: azioni (cioè gli affetti di cui siamo causa adeguata) e passioni (cioè gli affetti che subiamo). L’analisi spinoziana delle passioni, chiamata anche discriminazione degli affetti, parte dal principio di interzia. Tra gli affetti, Spinoza afferma che il principale è la cupidigia (o il desiderio), dal quale seguono la letizia (passaggio da una perfezione minore ad una maggiore che si basa sul bene) e la tristezza (passaggio da una perfezione maggiore ad una minore che si basa sul male). La cupidigia, la letizia e la tristezza costituiscono gli affetti primari, da cui derivano gli affetti secondari, cioè tutte le possibili passioni umane.
Gli affetti “secondari”
Dalla Letizia e dalla Tristezza scaturiscono due basilari affetti secondari, che sono l’Amore e l’Odio.
La schiavitù e la libertà dell’uomo
Quando Spinoza parla di schiavitù umana intende l’impotenza dell’uomo a moderare e a reprimere gli affetti. Quando, invece, parla di libertà si riferisce alla possibilità di acquistare consapevolezza del determinismo naturale. A proposito della libertà, Spinoza parla del: comportamento passionale che è sempre dettato da una conoscenza inadeguata della realtà (cioè da ide oscure e confuse); e comportamento razionale dettato, invece, da idee chiare e distinte. Affermando ciò, Spinoza intende dire che l’uomo deve scegliere se: agire per l’utile in modo istintivo (schiavitù delle passioni), oppure agire per l’utile in modo consapevole (libertà delle passioni). Affinché l’uomo sia libero deve avere una virtù, cioè deve agire, vivere, conservare il proprio essere secondo le leggi della propria natura in modo consapevole avendo di tutte le cose una conoscenza adeguata.  
La virtù tra ragione ed emozione
La conoscenza adeguata è per l’uomo sorgente di beatitudine e consiste nel comprendere la realtà alla luce della Sostanza divina. Questo grado supremo del conoscere è definito da Spinoza conoscenza di Dio o amore intellettuale di Dio. Con l’espressione “amore intellettuale di Dio” Spinoza sottolinea che la conoscenza di Dio è anche amore, nel senso che è un’emozione di gioia.

I generi della conoscenza

La teoria dei tre generi della conoscenza costituisce la ricapitolazione sintetica della metafisica, della gnoseologia e dell’etica di Spinoza.
I primi due generi
La conoscenza di primo genere (chiamata anche sensibile) consiste in una conoscenza parziale, che avviene tramite idee oscure e confuse. L’errore di questo tipo di conoscenza consiste nella sua inadeguatezza, ossia nella mancanza o privazione di una conoscenza adeguata. Il corrispondente etico di questa forma di conoscenza è la schiavitù delle passioni, ovvero quella situazione in cui l’uomo si lascia sopraffare dalle proprie emozioni.
La conoscenza di secondo genere (chiamata anche razionale) scaturisce, invece, dalla ragione e si basa sulle idee comuni, cioè di quelle idee che sono proprie della ragione. Quindi mentre la prima era una conoscenza pre-scientifica, la seconda è una conoscenza scientifica. L’equivalente etico di questa fase conoscitiva è la vita secondo ragione o secondo virtù, in cui l’uomo dirige intelligentemente la propria condotta. 
Il terzo genere e l’amore intellettuale di Dio
Alle prime due conoscenze ne segue una terza, chiamata conoscenza intuitiva, che si fonda sull’intelletto, consiste nel concepire la realtà alla luce della Sostanza. Questa conoscenza intuitiva si identifica con la metafisica, ossia con la visione delle cose nel loro scaturire da Dio


HOBBES




Thomas Hobbes nasce in Inghilterra nel 1588 e compì i suoi studi a Oxford. La sua opera principale è il Leviatano, che ha per temi la materia, la forma e il potere di uno Stato ecclesiastico e civile. Nella trilogia costituita da Il cittadino, Il corpo e L’uomo, invece, espose il proprio sistema. Alla base della filosofia di Hobbes vi è il tentativo di porre i fondamenti di una comunità ordinata e pacifica, che egli crede possibile soltanto in uno Stato assoluto.

Ragione e calcolo

Quando Hobbes parla di ragione, indica la capacità di prevedere e di calcolare gli effetti di una qualsiasi cosa pensata. Per lui, anche gli animali posseggono la ragione perché sanno appagare i loro bisogni e perché sono in grado di conservare la loro vita. Ma a differenza degli animali, l’uomo può fare ciò perché possiede il linguaggio, cioè quel mezzo di cui ci serviamo per catalogare le nostre esperienze, che si ha solo quando si usano le parole, cioè segni convenzionali che significano i concetti delle cose che si pensano. Grazie alle sue funzioni, il linguaggio rende possibile il ragionamento, cioè quell’operazione matematica comprendente l’addizione o la sottrazione di concetti. Dal ragionamento poi scaturisce il cosiddetto sillogismo ipotetico, cioè quel ragionamento per cui, come nelle dimostrazioni matematiche, vi è una connessione per la quale da una determinata causa si genera un determinato effetto. Quindi per Hobbes il sapere consiste nel conoscere le cause generatrici dei fenomeni e ciò avviene tramite: una dimostrazione a priori (di tipo deduttivo – dalle cause agli effetti), che riguarda gli oggetti prodotti dagli uomini; e una dimostrazione a posteriori (di tipo induttivo – dagli effetti alle cause), che riguarda gli oggetti non prodotto dall’uomo.

Il materialismo

Il materialismo meccanicistico
Innanzitutto con il termine materialismo intendiamo quella concezione filosofica per la quale tutto è dotato di materia e dipende dalla sua continua trasformazione. Sulla base di questa affermazione, Hobbes sostiene che il termine “incorporeo” è privo di significato, perchè sostenere che una cosa è incorporea equivale a dire che non esiste. Da questo punto di vista quindi né Dio né lo spirito umano sono incorporei. Poiché il corpo è l’unica realtà, cioè l’unica sostanza che esista realmente, Hobbes divide la filosofia (intesa come scienza dei corpi) in: filosofia naturale, che studia i corpi naturali; e filosofia civile, che invece studia i corpi artificiali e si divide in etica e politica. Quando quindi Hobbes parla di materialismo meccanicistico indica la propria consapevolezza che tutto è fatto di materia ed è soggetto al movimento meccanico che anima la natura in tutti i suoi aspetti.
Il materialismo etico
A proposito del materialismo, Hobbes ne distingue uno etico in cui esprime la propria consapevolezza che non si può fare una vera e propria distinzione tra il bene e il male, perché questi sono soggettivi. Semplicemente quando parla di bene parla di ciò che si desidera, mentre quando parla di male indica ciò che si odia. Sempre a proposito di questa concezione, afferma che se non esiste una distinzione tra bene e male non può esistere neanche un bene sommo, in quanto questo non dovrebbe implicare il desiderare dell’altro. Secondo Hobbes, poi, nella vita umana non c’è posto per la libertà, intesa da lui non come l’impedimento nelle sue manifestazione esteriori, ma bensì come libertà del volere.  

La politica

Hobbes ha voluto costruire la sua politica sul fondamento di principi necessari e perciò ha unito questa scienza con la geometria, parlando del cosiddetto geometrismo politico. Sotto questo punto di vista la visione politica hobbesiana si confronta con il giusnaturalismo, cioè quella dottrina che si basa sul diritto naturale, da cui trae diversi aspetti: innanzitutto la convinzione che la politica possa essere trattata come una scienza e poi la tendenza a prescindere dalla storia.
La condizione presociale e il diritto di natura
Secondo Hobbes la scienza politica si fonda su 2 postulati certissimi della natura umana (cioè su affermazioni che sono vere e di cui non è necessaria una dimostrazione): la bramosia, cioè la tendenza che ha l’uomo di godere da solo dei beni comuni, in quanto privo di qualsiasi forma di solidarietà reciproca verso gli altri uomini; e la ragione naturale, cioè la paura che gli uomini hanno della morte. Proprio per la bramosia, Hobbes intende studiare le cause di tale comportamento, individuandone due: innanzitutto l’uguaglianza naturale tra tutti gli uomini che sono dotati di intelligenza e forza e sono in grado di progettare la morte di qualcuno per ottenere i beni comuni; e la volontà naturale di godere dei beni messi a disposizione della natura. È proprio dalla volontà naturale che si genererà uno stato di natura, basato sulla guerra di tutti contro tutti.  In questo stato naturale però non esiste la giustizia e l’ingiustizia, ma bensì un diritto di tutti su tutto, secondo cui non essendoci leggi tutti vantano un diritto illimitato su tutto,
La ragione calcolatrice e la legge naturale
Se l’uomo fosse privo di ragione, però, questo stato di natura degenererebbe provocando l’annientamento del genere umano. Per questo la ragione umana indica una via d’uscita da una tale condizione, proibendo a ciascun individuo di fare ciò che provoca la distruzione della vita e di omettere ciò che serve a conservarla meglio. Pertanto le norme fondamentali della legge naturale sono dirette a sottrarre l’uomo al gioco autodistruttivo degli istinti e ad imporgli una disciplina che gli procuri sicurezza. Le principali di queste norme sono tre e sono: la pace, in quanto l’uomo deve essere in grado di riconoscere le libertà di cui può godere; il diritto, perché solo se l’uomo rinuncia al diritto illimitato su tutto può uscire dallo stato di natura; infine, rispettare i patti
Lo Stato e l’assolutismo
La nascita della società civile avviene in conformità alla seconda legge naturale, cioè mediante la stipulazione di un contratto con il quale gli uomini rinunciano al loro diritto illimitato per trasferirlo a un solo individuo. Per Hobbes, chi rappresenta lo Stato o la persona civile è il sovrano, o Leviatano, che ha potere assoluto e di cui tutti gli altri sono sudditi. A proposito della nascita di questo nuovo tipo di Stato, Hobbes introduce il concetto di assolutismo, ad indicare quel patto (chiamato patto d’unione) fatto solo fra gli uomini per cedere tutti i poteri ad una sola persona. Tale patto è: unilaterale, in quanto stabilito solo tra gli uomini; irreversibile, perché non può essere ritrattato; e parziale, perché il sovrano non può violare i diritti naturali dell’individuo (come il diritto alla vita). Ma tale patto premette: il fatto che il potere del sovrano è indivisibile, cioè non può essere diviso tra poteri diversi; e il fatto che il giudizio sul bene e sul male spetta allo Stato e non ai cittadini.  

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